NFT: quale valore per i brand nel Web 3.0?

La diffusione e l’entusiasmo della comunità “crypto” per gli NFT (non-fungible token) prosegue nel 2022, dopo il boom dell’anno precedente.

Certamente non mancano notizie che possono suggerire una visione più cauta.

In particolare un certo scetticismo che è emerso intorno alle criptovalute e alla loro sicurezza, in seguito all’attacco speculativo sulle criptovalute Terra e Luna (in realtà mirato a realizzare un profitto sul Bitcoin, per un valore che qualcuno ha stimato pari a un miliardo di dollari).

E ha generato polemiche il drop dello Yuga Labs di NFT rappresentanti terreni virtuali nel loro preannunciato metaverso Otherseed che ha paralizzato la blockchain Ethereum e fatto schizzare per tutti gli utenti il gas fee (le commissioni che si pagano per le transazioni, commisurate al consumo di energia elettrica della blockchain) a cifre mai viste prima.

Ma quanto di questo è hype, ovvero clamore mediatico (magari artificialmente spinto da chi ha interessi nel settore), e quanto c’è di sostanziale negli NFT visti come innovazione tecnologica? E in particolare quale valore possono gli NFT generare per le aziende?

La resistenza per un’adozione mainstream degli NFT

Più in generale, restano ancora irrisolti due problemi che ad oggi impediscono una reale adozione mainstream degli NFT.

(a) L’accessibilità della tecnologia della blockchain, per la maggior parte degli utenti, resta ancora limitata, anche a causa delle interfacce delle Dapp (decentralized application) ben poco user-friendly.

(b) Il mindset della maggior parte di noi continua a chiedersi come sia possibile attribuire un valore monetario a volte anche elevato a quelli che spesso sono semplici file jpeg (come per le collezioni CryptoPunks e Bored Ape Yacht Club per le quali ogni “figurina digitale” è acquistabile a prezzi che si misurano in centinaia di migliaia di dollari).

Ma il fatto che ad oggi il fenomeno dei non-fungible token sia alimentato dall’abbondanza di liquidità digitale (le criptovalute) e dalla passione degli user della Z-Generation e dalle piattaforme social da essi frequentate (Discord, Twitter) non deve ingannare e far pensare che si tratti puramente di un hype.

Gli NFT sono una tecnologia innovativa, che ha consentito per la prima volta di realizzare transazioni aventi per oggetto item digitali (rappresentati dai metadati inseriti nella blockchain), e che quindi ha creato un mercato che prima non esisteva, che non era nemmeno concepibile, per tali item.

Le aziende dovrebbero esplorare con attenzione, e senso di sperimentazione, questa nuova tecnologia.

I global brand all’esplorazione degli NFT

Questa sperimentazione sta già avvenendo da quasi un paio di anni per i global brand (Disney, Coca-Cola- Gucci, Mercedes, Adidas, Prada, etc.), che per risorse e cultura interna hanno la capacità di essere pionieri di fronte alle nuove opportunità quando queste si materializzano. Ma per la stragrande maggioranza delle aziende, gli NFT (e più in generale il mondo del Web 3.0) resta un terreno del tutto sconosciuto e inesplorato, che crea più diffidenza che interesse anche per il senior management.

Non solo. Ad oggi la maggior parte delle esperienze realizzate dai global brands non ha fatto altro che replicare il consueto modello di utilizzo dei non-fungible token per creare collezionabili e monetizzarli tramite i marketplace. Se guardate a quanto realizzato da Budweiser, Pepsi, Oréal e tanti altri, non hanno fatto altro che replicare i soliti casi di successo che hanno attratto ad oggi i cryptofan.

Al più, qualche brand ha voluto abbracciare la crypto art, come nel caso di Mercedes-Benz che ha realizzato degli NFT (sotto un esempio) col collettivo di artisti Art2OPeople.

Altro esempio sono gli NFT lanciati dal colosso del lusso Louis Vuitton che vedete nell’immagine di copertina.

Tutto questo ha senso: è la modalità più immediata per sondare il terreno, monetizzare la propria brand equity. Per alcune aziende, come le media company (Disney, Warner, NBA) è quasi naturale riversare i propri media asset e le proprie intellectual property su un nuovo diverso canale distributivo. Ed è anche decisamente semplice.

Ma costruire una strategia proiettata sul Web 3.0 e che quindi incorpori gli NFT è un’altra storia.

Cinque direttive per uno sviluppo strategico nel Web 3.0

Per quanto prematuro, proviamo a individuare quelle che potranno essere le vere direttive strategiche nel futuro dell’utilizzo degli NFT per le aziende.

(1) Non orientare i progetti esclusivamente verso la community dei cryptofan

Per quanto il Web 3.0 debba ad essi la spinta attuale verso lo sviluppo e la sperimentazione continua, le aziende non possono e non devono restringere il campo d’azione a quei segmenti che oggi dimostrano un vivace interesse per gli NFT. Le aziende devono invece orientarsi verso i consumatori dei loro prodotti e servizi, anche quando questi segmenti sono ad oggi poco attivi nell’uso della blockchain.

La graduale diffusione mainstream, fino alle famiglie, è ciò che davvero deve interessare le aziende, perché è allora che il mondo virtuale (e l’utilizzo di NFT) si congiunge col mondo fisico (Prodotti e servizi).

(2) Sviluppare gli NFT come bridge tra mondo virtuale e mondo fisico

Questa è l’area più promettente. Già nel 2019 Nike aveva sperimentato con il lancio delle CryptoKicks, scarpe fisiche ma certificate da NFT, che potevano essere quindi rivendute (si tratta sostanzialmente di sneaker da collezione) azzerando il rischio di falsi.

Nel 2021 l’azienda svizzera di orologeria di lusso, Gerald Genta, aveva venduto tramite asta su Sotheby’s dei pezzi fisici di altissimo valore accompagnati da certificazione su NFT, i cui metadati racchiudevano la digitalizzazione dell’artwork originale nel quale il designer aveva progettato lo specifico orologio.

L’azienda automobilistica Alfa Romeo ha sperimentato una strada molto diversa, ma che sempre connette fisico e digitale tramite NFT: la certificazione delkla manutenzione, assistenza ed interventi sul modello Tonale vengono registrati sulla blockchain.

Sono solo alcuni esempi, i primi casi in cui l’azienda sperimenta modalità con le quali gli NFT possono estendere e arricchire la customer experience.

(3) Generare ricavi dal secondary market

L’arte contemporanea ha immediatamente sfruttato questa opportunità. Tipicamente l’artista non beneficia in alcun modo delle transazioni successive alla vendita primaria del suo quadro fisico, anche quando l’opera raggiunge quotazioni importanti. Grazie alla programmabilità degli NFT è invece possibile inserire una royalty tale che, anche nelle transazioni successive, una quota percentuale del prezzo d’acquisto viene automaticamente attribuita – ovviamente in forma di criptovaluta – nel wallet digitale (il portafoglio) dell’artista.

Anche per le aziende, adesso, è quindi possibile continuare a catturare una fetta del valore delle transazioni di un prodotto nel mercato secondario. Un esempio concreto? Si pensi a ticket per eventi musicali, oggi spesso rivenduti a prezzi ben più alti del prezzo nominale, senza alcun beneficio per l’organizzatori e per l’artista. O si immagini un prodotto di pelletteria di lusso che sia accompagnato da un suo NFT, che non solo ne certifica l’autenticità e il possesso, ma che consente anche di attribuire al wallet del produttore-designer una quota in caso di rivendita.

(4) Costruire community con gli NFT per incrementare la customer loyalty

Le aziende dovrebbero come trasferire la dimostrata capacità degli NFT di creare community nella Z-Generation intorno a piattaforme social (come Discord in particolare) nei loro programmi di loyalty. Questa è una delle direttive più interessanti in numerosi settori anche lontani dal mondo del lusso e dei media, come il fast moving consumer goods e il retail.

(5) Far leva sugli NFT per creare una relazione diretta e disintermediata con i propri consumatori

Si tratta di un concetto fortemente legato al precedente, ma un po’ più complesso. Per la natura in sé decentralizzata della blockchain, i non-fungible token sono uno strumento d’eccellenza nel consentire un dialogo tra brand e consumatore che non passi dalle consuete grandi piattaforme centralizzate del Web 2.0 (quelle, per intenderci, che gravitano nell’ecosistema di Meta-Facebook o di Alphabet-Google).

Gli NFT consentono alle aziende proprio questo: di riappropriarsi della relazione digitale con i loro consumatori, reinventando e adattando le egole del gioco di tale relazione che oggi sono imposte dai grandi player prima citati.

Brand e NFT, tra visione a lungo termine e sperimentazione a breve

Le aziende, quindi, hanno davanti delle opportunità rilevanti dallo sfruttamento della tecnologia della blockchain, ma per realizzarle devono imparare a sperimentare e analizzare i risultati, per crescere lungo una curva di apprendimento, senza essere distratti dall’hype intorno al fenomeno degli NFT e dagli inevitabili up and down di un mercato ad oggi fortemente speculativo e instabile.

In questo senso, per un’azienda guardare a metriche a breve termine e puramente monetarie – quali le quotazioni raggiunte dopo il drop di una propria collezione – potrebbe rivelarsi una strada del tutto sbagliata, sotto il punto di vista più ampio e a lungo termine di una integrazione degli NFT nelle proprie strategie.


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