Nel precedente articolo abbiamo illustrato un modello di business portfolio, nel quale ogni business viene classificato o in un quadrante EXPLORE o piuttosto in un quadrante EXPLOIT. In ciascun quadrante, poi, il business viene posizionato in base a due variabili fondamentali: il ritorno del business (e quindi la profittabilità) e il rischio del business. Oggi, voglio parlarvi del business design e della lean startup.
In questa seconda e ultima parte vedremo come si gestiscono i singoli business in questo portfolio, utilizzando due metodologie, che attingono al business design e alla lean startup.
Proseguiamo quindi nel nostro viaggio, che sintetizza alcuni concetti fondamentali espressi nell’ultimo libro di Alexander Osterwalder “The Invincible Company“.
Lanciare i nuovi business: esplorazione
Ci focalizzeremo in questo secondo articolo esclusivamente sul primo quadrante, quello che abbiamo denominato EXPLORE, nel quale si collocano i nuovi progetti, quelli che speriamo che un giorno si trasformino in veri e propri business.
Nel quadrante EXPLORE i business da sviluppare vengono posizionati in riferimento alle due variabili prima citate, che per questo quadrante sono precisamente identificate dal ritorno atteso (Expected Return) e dal rischio insito nell’innovazione (Innovation Risk). Per intenderci, siamo nel territorio delle startup: nuovi business incerti, ad alto rischio, per i quali non è davvero chiaro il potenziale di profittabilità.
E’ ovvio che l’imperativo strategico qui è spostarci verso l’alto e a destra, ovvero incrementare il ritorno atteso e ridurre il rischio. Questo imperativo strategico, visto graficamente, si traduce nella direzione dall’angolo in basso a sinistra verso l’angolo in alto a destra. Fino a poi, idealmente, riuscire a spostare i business appena lanciati sul mercato dal quadrante EXPLORE al quadrante EXPLOIT, dove finalmente generano un’effettiva profittabilità.
Massimizziamo il ritorno atteso: business design
Il business design è quella metodologia che ci consente di incrementare il ritorno atteso, quindi spostare il business che stiamo esplorando verso l’alto. In cosa consiste, in concreto?
Consiste nel dare e ridare forma all’idea di business che intendiamo concretizzare, disegnando (ovvero progettando) il modello di business più adeguato affinché questa idea possa tradursi in una value proposition per il nostro cliente e generare revenue dalle quali deriveranno i profitti, quelli che al momento sono solo expected returns esistenti sulla carta.
Il processo di business design è un ciclo iterativo continuo, perché si affina sempre di più il modello di business e la value proposition attraverso tre fasi:
(1) ideate (ideazione): su quale idea di business costruiamo il business model e la value proposition per il cliente?
(2) business prototype (prototipazione del business): quale value proposition e quale business model intendiamo costruire? In questa fase due framework sviluppati da Osterwalder, il Business Model Canvas e il Value Proposition Canvas, diventano strumenti preziosi per “prototipare” ovvero dare una prima forma strutturata alle nostre idee.
(3) assess (valutazione): ovvero la verifica del corretto funzionamento dei prototipi.
E a questo punto si torna al punto iniziale (ideate), rifinendo l’idea in maniera riveduta e più accurata, e ripetendo il ciclo in modo da sviluppare in maniera sempre più dettagliata ed efficiente/efficace il business model e la value proposition.
Con questa continua iterazione spostiamo la nostra idea di business verso l’alto, migliorando l’expected return: in altre parole miglioriamo la potenziale profittabilità del business model e della value proposition.
Testiamo le ipotesi: lean startup
Nella fase di business design noi definiamo e ridefiniamo un modello che sulla carta, rappresentato nel suo bel Business Model Canvas, promette una sempre migliore marginalità. Ma è pur sempre un prototipo, che non ha ancora incontrato la realtà del mercato.
Permane un altissimo livello di rischio. Come asserisce il notissimo autore e investitore Steve Blank: “No business plan survives first contact with customers“!
Qui noi intendiamo ridurre il rischio, e quindi spostarci verso destra nel nostro quadrante, e ridurre l’Innovation Risk. Come possiamo farlo?
Occorre riconoscere che il business che abbiamo disegnato poggia su delle ipotesi, ed è bene che si verifichi sin dall’inizio quanto queste ipotesi possano tradursi in realtà. O se piuttosto siano delle fondamenta troppo fragili e incerte per costruirvi sopra l’architettura del business.
Alexander Osterwalder invita allora a verificare queste ipotesi e propone un secondo processo, che definisce Test, anche questo consistente in un ciclo iterativo formato da tre fasi:
- hypothesis (ipotesi): riconosciamo con onestà le ipotesi sulle quali poggia il nostro business, focalizzandoci su quelle più critiche. Ad esempio: almeno il 10% degli utenti registrati attiverà la versione premium. Oppure: avremo un CAC (customer acquisition cost) non superiore a 20 Euro. Oppure: il nostro servizio può essere venduto a 300 Euro. Questo sono soltanto ipotesi al momento, e non possiamo rischiare di scoprire che sono ipotesi deboli quando avremo ormai investito nel business.
- experiment (sperimentazione): traduciamo le ipotesi più critiche in veri e propri esperimenti per metterle alla prova, ovvero testarle.
- learn (apprendimento): avremo così misurato il risultato dell’esperimento e quindi confermato o confutato le ipotesi. Si è così attivata una curva di apprendimento, e questo è di vitale importanza quando si lavora su una startup. Se l’ipotesi è confermata, possiamo procedere con ulteriori esperimenti per validare altre ipotesi, riducendo via via il rischio. E se l’ipotesi è confutata? Va ridisegnato il nostro business, e come avrai intuito le due metodologie (business design e test) sono altamente integrate tra loro.
Questo processo, che Alexander Osterwalder definisce test, è in realtà ispirato alla metodologia nota come lean startup sviluppata da Eric Ries e illustrata nel suo libro “The Lean Startup”. Cambiano i termini ma il concetto resta: ogni ipotesi di business che sia critica per il successo di una startup va preventivamente verificata con un processo iterativo che Ries definisce nelle tre fasi Build->Measure->Learn: costruiamo esperimenti per effettuare dei test, ne misuriamo i risultati, apprendiamo.
E l’apprendimento, in una startup, ha un valore immenso. Non ne abbiamo qui lo spazio per approfondire questo punto come meriterebbe e mi limito ad una splendida affermazione di Eric Ries in proposito: “Startup exist not just to make money or even serve customers. They exist to learn how to build a sustanaible business”.
Il processo di Portfolio Expoloration
Abbiamo quindi due metodologie, due processi concreti. Uno è quello di costruire modelli di business e value proposition sempre più profittevoli: il business design.
L’altro è quello di testare con veri e propri esperimenti le ipotesi sulle quali abbiamo disegnato (progettato) il business, per ridurne il rischio. Un processo non meno importante perché come spiega Ries questo approccio – denominato lean startup – consente di attivare la curva di apprendimento e capire davvero come far atterrare le nostre idee sull’ultra-competitivo mondo reale, senza che si schiantino all’atterraggio.
Due processi strettamente correlati tra loro, che spostano gradualmente la nostra idea di business nel quadrante EXPLORE sempre più in alto e sempre più a destra, rendendola concreta e dando vita ad un vero e proprio business che si sposterà poi nel quadrante EXPLOIT.
Ma l’avventura non è finita. Perché nel quadrante EXPLOIT è in agguato perenne quella temibile disruption, tanto decantata quando parte dalla nostra impresa ma ben più temuta quando ci troviamo improvvisamente a fronteggiarla. Ma ne parleremo in un’altra occasione!
Segnalo che per leggere l’articolo precedente sul tema del business portfolio vi basta cliccare qui.
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