Il concetto di business design ha raggiunto un’ampia popolarità a partire dal 2010, anno della pubblicazione del libro “Business Model Generation” [1] scritto da Alexander Osterwalder (nell’immagine in alto) e Yves Pigneur. Per capirci, quel best-seller che ha diffuso in tutto il mondo quel template strategico che conoscete col nome di Business Model Canvas.
Il concetto di business design è stato ulteriormente approfondito nelle successive pubblicazioni dei due autori, ma anche in ulteriori pubblicazioni nonché in diversi corsi anche universitari.
Cosa intendiamo per business design? Esistono varie definizioni, anche divergenti tra loro, e in un certo senso manca una definizione ufficiale.
Ma non c’è nulla di strano in questo: persino la disciplina del marketing viene studiata da oltre 70 anni, e a dirla tutta il termine era già apparso in un libro del XVI secolo, e tuttavia le definizioni sono – e resteranno sempre – discordanti.
Cominciamo le nostre riflessioni sul business design partendo proprio da Alexander Osterwalder.
Il business design come processo
Partiamo da un paio di definizioni che Alexander Osterwalder utilizza, traducendole quasi letteralmente dall’inglese. La prima è tratta dal suo ultimo libro “The Invincible Company” [2]:
“Il business design consiste nell’attività di trasformare idee di business, insights dal mercato ed evidenze da test in una concreta proposta di valore e in un solido modello di business”
E’ una definizione molto chiara perché descrive il processo: parto da idee, si fanno dei test per validare le idee, e il risultato finale è nella value proposition e nel business model che ne conseguono.
Vediamo quest’altra definizione, tratta dal libro “Testing business ideas“:
“Col business design puoi gradualmente dar forma ad un’idea di business trasformandola in una proposta di valore e in un modello di business dal migliore ritorno atteso possibile”
Anche questa un’ottima definizione, che rispetto alla precedente introduce un criterio di misurazione del business design: la massimizzazione del ROI atteso.
Una definizione alternativa: il business design come mindset
Le definizioni di Osterwalder appena viste sono indubbiamente senz’altro precise, eppure personalmente preferisco il significato che viene attribuito all’espressione business design da IDEO [3], società di consulenza statunitense. Ricordo che IDEO ha avuto il merito di aver dato un fondamentale contributo alla diffusione del design thinking nel mondo delle imprese. E di design thinking, non a caso, torneremo a parlarne tra pochissimo…
“Il business design è un modo di operare che combina gli strumenti del business thinkers, dell’analista, dello stratega, con i metodi e il mindset del designer”
Perché preferisco questa diversa definizione? Perché dà enfasi al mindset del designer (approccio mentale). E così facendo sposta il focus della definizione dal processo all’approccio.
In sostanza, Osterwalder dà una definizione che descrive in estrema sintesi il processo, il “cosa“: cosa fa il business design. Mentre IDEO privilegia il “come“: il business design integra le metodologie classiche di chi fa strategia in azienda, in particolare il pensiero strategico, con le metodologie proprie del designer.
Mentre apprezzo questa diversa angolazione proposta da IDEO, chiarisco subito: non è la mia personale definizione o meglio: non è come spiegherei cosa è il business design e cosa fa un business designer. Facciamo un passo indietro.
La relazione col design thinking
IDEO, che è stata evangelist da sempre del design thinking, un po’ sorprendentemente non include, nella definizione di business design, il design thinking.
Ma il business design non è altro che una derivazione del design thinking [4], quella metodologia di problem-solving che si può applicare a contesti numerosi e diversi, che spaziano dall’innovazione di un prodotto fino all’affrontare problematiche ambientali o urbanistiche.
Il business design descrive allora uno dei possibili ambiti di applicazione di applicazione del design thinking: la progettazione di un business. Il business designer in sostanza progetta business usando l’approccio, la metodologia e i processi propri del design thinking.
Questa è la definizione di business design che credo sia quella più corretta, perché esplicita la sua derivazione dal design thinking. Non a caso:
- la definizione di Osterwalder descrive un processo iterativo e basato su test… senza mai citare il termine design thinking, ma di questo si tratta!
- la definizione di IDEO include le metodologie e l’approccio proprie del designer… ovvero l’essenza stessa del design thinking.
La visione che propongo, del business design come applicazione del design thinking al business, trova però un suo limite: risulta poco chiara a chi non abbia idea di cosa sia il design thinking!
Per questo rimando ai diversi articoli su questo stesso blog che potrebbero esservi utili per comprendere il significato di design thinking.
Ma il nostro viaggio non si ferma qui. E nel prossimo articolo andremo indietro nel tempo, e scopriremo come un guri del marketing, otto anni prima che il lavoro di Osterwalder creasse un buzz intorno al business design, avesse già intuito e spiegato il valore del design nell’impresa. Parliamo di Seth Godin e del suo best-seller “La Mucca Viola.”.
Note
[1] l’edizione italiana si intitola “Creare modelli di business. Un manuale pratico ed efficace per ispirare chi deve creare o innovare un modello di business” (Edizioni LSWR)
[2] l’edizione italiana si intitola “Come diventare un’azienda invincibile con la guida ai migliori modelli di business” (Edizioni LSWR)
[3] Tim Brown, CEO di IDEO per 19 anni, è autore dell’ottimo libro “Change by Design: How Design Thinking Transforms Organizations and Inspires Innovation” che segnalo volentieri (mai pubblicato in edizione italiana)
[4] in estrema sintesi col termine design thinking facciamo riferimento ad una metodologia di problem-solving che vede al centro la persona (o il cliente, quando si parla di business), e che si concretizza in un processo iterativo che genera creativamente idee che possano rappresentare una soluzione al problema, e le trasforma in prototipi da testare per avvicinarsi gradualmente alla migliore soluzione, quella che rispetta criteri di desiderabilità (la soluzione deve essere gradita dal cliente), fattibilità tecnica e sostenibilità economica.
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