Disruption. Forse il termine più abusato negli ultimi anni. Ma provate a fare un esperimento. Non appena qualcuno, parlandovi, butta lì nel discorso il termine disruption, chiedetegli cosa significa. Cosa intenda davvero per disruption.

In molti casi la risposta che riceverete non sarà chiarissima. In alcuni casi sarà poi così confusa che capirete che il vostro interlocutore ha magari le idee meno chiare di quanto le abbiate voi. E in qualche caso, con questa domandina innocente, lo avrete messo in imbarazzo.

Disruption, appunto. Non esiste un equivalente in italiano. E’ qualcosa che corrisponde un po’ a un’interruzione che genera disordine, o addirittura sconvolgimento. Insomma, qualcosa di nuovo che mette violentemente in discussione lo status quo delle cose.

Va bene, questo lo abbiamo capito. Ma quando si parla di cambiamento in un mercato o in un settore, o di innovazione tecnologica, cosa è davvero la disruption?

Tutto nasce da una teoria economica, la disruptive innovation, elaborata da Clayton Christiansen.

 

La disruption secondo Clayton Christensen

Quando parliamo di Clayton Christensen parliamo di uno dei maggiori accademici americani degli ultimi 30 anni. Docente della Harvard Business School. Definito dalla rivista The Economist “the most influential management thinker of his time“.

E purtroppo scomparso nel 2020 a 67 anni. Il professor Christensen ha dato vita alla teoria della disruptive innovation che ha divulgato nel suo best-seller del 1997 “The Innovator’s Dilemma“. Se oggi ci riempiano la bocca col termine disruption, lo dobbiamo a lui, al professor Chistensen. Ma spesso ignorando del tutto il significato che attribuiva al fenomeno della disruption nell’ambito della sua teoria.

cosa-è-la-disruption-teoria-innovation-clayton-christensen

Come definisce Clayton Christensen la disruption? Come quella innovazione capace di creare valore in un modo così nuovo da sconvolgere un mercato esistente, rendere quel mercato improvvisamente obsoleto, e creare un mercato del tutto nuovo.

Va bene, abbiamo capito, direte. E’ quell’innovazione che rivoluziona un mercato all’improvviso. Si. Anzi no. Lasciamo da parte per un momento la disruption, ci torneremo dopo, e cerchaimo di capire meglio il concetto più ampio di innovazione.

 

La prima categoria di innovazione: la sustaining innovation

Un’innovazione può rientrare in due categorie, spiegava Christensen. La prima è quella che possiamo definire sustaining. Sono innovazioni che potremmo chiamare “di sostegno”, che arricchiscono un mercato, ma non lo stravolgono. Nella categoria sustaining innovation rientrano a loro volta due sotto-categorie:

(1) innovazioni evolutive (evolutionary innovations)

Si tratta del normale progresso tecnologico, ed avviene in ogni mercato in maniera più o meno continuativa. Un esempio? pensate al mercato della telefonia mobile.

E’ il classico mercato dove sono avvenute tantissime innovazioni evolutive. L’apparizione del display a colori. La fotocamera integrata. La connessione con internet. Il passaggio dal 3G al 4G. Tantissime innovazioni, ma nessuna che abbia mai messo in discussione la stessa esistenza del mercato, e minacciato la sostituzione con un altro.

I prodotti migliorano di continuo, si arricchiscono sempre di più, ma continuiamo a riferirci sempre di un mercato della telefonia mobile, anche se i cellulari di 20 anni fa appaiono quasi primitivi a confronto degli attuali smartphone.

(2) innovazioni rivoluzionarie (revolutionary innovations)

Qui la storia è un po’ diversa. Qui parliamo di innovazioni radicali. “E’ questa la disruption!” avrete subito pensato. No, non ci siamo ancora arrivati.

Un’innovazione può essere rivoluzionaria e tuttavia non ancora capace di mettere in discussione un mercato esistente al punto da sostituirlo con un nuovo mercato. L’esempio che fa il professor Christensen è illuminante: l’automobile.

Voi penserete: cosa ci può essere di più rivoluzionario?! E’ vero, l’invenzione dell’automobile ha cambiato il mondo, eppure le prime automobili non sono affatto un esempio di disruption. I primi modelli, venduti alla fine del XIX secolo, erano “giocattoli per ricchi”, e dato il livello di prezzo non erano affatto in condizione di mettere in crisi il mercato del tempo, quello delle carrozze con i cavalli.

Ripeto questo passaggio, perché è fondamentale per capire che non tutte le innovazioni rivoluzionarie sono disruption. Le primissime automobili erano un bene di lusso estremo, e non avevano minimamente intaccato il mercato esistente. Ma allora, l’automobile non è stata capace di creare disruption?

Lasciamo per un attimo da parte le automobili, ci torneremo presto. Parliamo ora di iPhone.

 

L’iPhone è un esempio di disruption?

La prima categoria di innovazione, vista prima, è quella sustaining. Quella che non intacca il mercato esistente. Può essere evolutiva, o anche rivoluzionaria, ma il mercato resterà sempre lì, anzi sarà arricchito dalle novità, nuovamente stimolato nella crescita. Non sarà messo in crisi dall’innovazione. L’esempio è appunto quello dell’iPhone.

L’iPhone potete considerarlo come una innovazione evolutiva, che fa salire il livello generale delle prestazioni dei prodotti del mercato della telefonia mobile. Oppure potete considerarlo come un’innovazione rivoluzionaria. Io sono d’accordo col secondo punto di vista, pensando al fatto che ha inventato nuovi business model centrati sulle app.

Ma il punto è che possiamo vederla come evolutiva o rivoluzionaria, possiamo dibattere quanto vogliamo, ma pur sempre di innovazione sustaining si tratta. Perché con l’apparizione dell’iPhone il mercato della telefonia mobile non è scomparso affatto, anzi.

Più avanti torneremo però a riparlare dell’iPhone, sotto un diverso punto di vista. Torniamo ora all’automobile.

 

La seconda categoria di innovazione: la disruptive innovation

Con l’innovazione disruptive abbiamo un’innovazione che crea un nuovo mercato e mette in crisi un mercato pre-esistente. Quindi è ben diversa dall’innovazione sustaining, che rivitalizza un mercato esistente.

Torniamo a parlare di automobili. Negli anni 20 Henry Ford prende i principi studiati dall’ingegner Frederick Taylor, li rielabora in una vera e propria metodologia (non a caso chiamata fordismo) e li applica nella sua fabbrica di automobili, creata nel 1903.

La sua fabbrica produceva sino ad allora un’auto al giorno, a costi altissimi e quindi a prezzi proibitivi. Ma all’improvviso appare la catena di montaggio, espressione concreta del fordismo. I costi di produzione crollano. Viene lanciato il celebre Model T. Dal 1908 al 1925 vengono immessi sul mercato 15 milioni di veicoli, ad un prezzo di circa $ 850.

L’automobile non è più un giocattolo di lusso. E’ il sogno, ma un sogno a portata di mano, della nascente classe media americana. E il mercato delle carrozze con i cavalli? Quali carrozze? Quali cavalli? Improvvisamente divenuto storia. Al più relegato al mondo rurale. 

Quindi, l’automobile è diventata una innovazione disruptive non con i primi modelli ma con l’implementazione della catena di montaggio nelle fabbriche: solo allora è nato un vero e proprio nuovo mercato, che ha reso obsoleto il mercato delle carrozze. 

 

Due ulteriori requisiti per parlare di disruption

Continuiamo a chiarirci le idee. Abbiamo capito cosa è la disruption, è quell’innovazione che ha un impatto negativo su un mercato pre-esistente in quanto crea un nuovo mercato. Addirittura in certi casi spazza via di colpo il mercato pre-esistente. Ma ora focalizziamo su due punti importantissimi, per capire meglio la teoria della disruptive innovation di Christensen.

Il primo, è che la disruption ha in generale origine da imprese che sono estranee al mercato esistente. anzi, chiarisce il professore, è praticamente impossibile che un leader introduca una innovazione disruptive. Potrà introdurre innovazioni rivoluzionarie, ma non disruptive.

Perché mai dovrebbe introdurre qualcosa di disruptive in un mercato? Perché dovrebbe scuotere un mercato da cui genera profitti con qualcosa che potrebbe cancellare come un colpo di spugna quel mercato consolidato?

Secondo punto: la disruption è qualcosa di così radicale che non è solo innovazione di prodotto ( o di processo). E’ molto di più, perché richiede anche un modello di business radicalmente nuovo.

 

Un esempio di disruption: Airbnb

Facciamo un esempio. Il mercato alberghiero segue le stesse regole del gioco da ormai decenni. I leader nel mercato globale sono quelli: AccorHotels, Choice Hotel, Hilton, Sheraton, Marriott, Hyatt, Four Seasons. Tutti gli altri si allineano e il business model di una struttura ricettiva familiare non si discosta poi tanto da quella dei leader globali.

Poi nel 2008 a San Francisco nasce una startup, AirBed & Breakfast. Nell’anno successivo uno startup accellerator investe $ 20.000. La nuova società nel giro di pochi anni mette a punto un modello di business totalmente innovativo. Tanto innovativo che nasce un nuovo mercato: quello della sharing economy nell’ospitalità.

Avrete capito che parliamo di quell’azienda che oggi conosciamo come Airbnb. Quasi $ 5 miliardi di fatturato nel 2019. E gli ingredienti per parlare di disruption ci sono tutti.

E’ nato un mercato del tutto nuovo, che ha avuto un serio impatto sul tradizionale mercato alberghiero. Un mercato che quei leader globali prima citati non possono permettersi di ignorare. Alcuni di questi si sono già mossi sulla strada di una diversificazione del business che si indirizzi proprio verso la sharing economy, su quella strada già tracciata con successo da Airbnb.

AccorHotels ha acquistato Onefinestay nel 2016 per $148 milioni. Sempre nel 2016 Choice Hotel ha lanciato Vacation Rentals. Marriott, numero uno al mondo nel settore, nel 2018 ha lanciato Tribute Portfolio Homes.

E questa disruption non è stata portata da un player del mercato tradizionale. Per quale motivo Marriott, ad esempio, avrebbe dovuto lanciare un servizio che mette in discussione i suoi investimenti immobiliari, investimenti che ammontano a 7.600 proprietà immobiliari con 1,4 milioni di camere sparse su tutto il pianeta?

Infine, il modello di business a cui Airbnb ha dato vita non ha nulla a che fare con l’albergazione tradizionale così come la conosciamo. Idealmente Airbnb non ha bisogno di possedere una sola stanza. Ma ha bisogno, invece, di una piattaforma formidabile, che faccia incontrare domanda e offerta.

 

La disruption nella realtà: 6 esempi

Va bene, direte voi. Il Model T della Ford ha raso al suolo il mercato delle carrozze, ed è un esempio di disruption. Airbnb è un altro esempio. E poi? Cos’altro?

La disruption non è una qualsiasi innovazione, lo abbiamo detto, ma questo non vuol dire che sia una cosa poi così rara. Lo mostriamo in una rapida carrellata per raccontare 6 storie che ci hanno cambiato la vita.

Dalla macchina da scrivere alla stampa dal desktop

cosa-è-la-disruption-macchina-da-scrivere

Ottimo esempio. Basta connettere un computer ad una stampante et voilà: il mercato delle macchine da scrivere diventa all’improvviso roba da mercatino dell’antiquariato. E che non è stata introdotta da produttori di macchine da scrivere. Un’innovazione davvero disruptive, e che come ci insegna Christensen, non è stata introdotta dai produttori delle macchine da scrivere.

 

Dalla pellicola fotografica alla fotografia digitale

cosa-è-la-disruption-pellicola-fotografica

Altro esempio perfetto. Un mercato, quello della fotografia digitale, che ha sostituito in maniera totale il pre-esistente mercato. Kodak? Polaroid? Cancellato il ricordo, con un colpo di spugna.

 

Dal telegrafo al telefonocosa-è-la-disruption-telegrafo

E’ il perfetto esempio di come la disruption non possa mai nascere da chi già genera profitti in un mercato esistente. A maggior ragione se è un leader, in quel mercato.

Alla fine del XIX secolo c’è un mercato ormai consolidato, quello della comunicazione per telegrafo, e la Western Union ne è il leader incontrastato. Nulla di strano se allora, quando si presenta un certo Alexander Graham Bell nei loro uffici a parlare di un suo brevetto, declinano cortesemente l’offerta di acquistare quel brevetto. Di cosa parla costui? Tele…cosa? Telefono?

Mister Bell allora si rimbocca le maniche, crea la AT&T, comincia a installare telefoni negli uffici degli americani e poi nelle loro case… con tanti cari saluti al mercato del telegrafo.

 

Dal telefono fisso al telefono cellulare

disruption-telefonia-mobile

Restiamo ancora nell’ambito delle telecomunicazioni, con un altro chiaro esempio di disruption. Un mercato del tutto nuovo, che ridimensiona fortemente il mercato della telefonia fissa. Il primo prototipo di telefono portatile (portatile… pesava 1.5 kg!) fu presentato nel 1973 da un’azienda totalmente estranea al mercato della telefonia fissa, l’americana Motorola.

Sempre della Motorola il primo telefono cellulare portatile effettivamente commercializzato: il DynaTAC 8000X lanciato nel 1984. Pesava un po’ meno, circa 800 gr. Il prezzo?  3.995 dollari.

Oggi il mercato della telefonia fissa è chiaramente destinato a eclissarsi definitivamente. Negli Stati Uniti, ad esempio, ormai meno del 40% delle famiglie ha un telefono fisso. In Italia la percentuale è più elevata: il 60%. Ma sono percentuali che vedremo in tempi non lontano ridursi a una sola cifra.

 

Dall’enciclopedia a Wikipedia

Qualcuno di voi ricorda ancora le ingombranti enciclopedie cartacee che una volta riempivano le librerie delle nostre case? Oggi basta un’occhiata al sito di Wikipedia e troviamo tutto lo scibile umano, continuamente aggiornato. E Wikipedia rappresenta l’esempio di disruption per eccellenza.

L’azienda non era affatto un player nell’editoria. Con la sua innovazione, il mercato delle enciclopedie è diventato improvvisamente un lontano ricordo. Il modello di business di Wikipedia non ha nulla in comune con quello di un’enciclopedia tradizionale.

Ed è stata una disruption così radicale che sono scomparse non sole le voluminose enciclopedie cartacee: anche le enciclopedie digitali, vendute su CD, sono divenute d’un tratto obsolete, invendibili!

 

Dal DVD al video streaming

Qui siamo in presenza di una disruption in corso. Perché un mercato dei DVD ancora esiste. Ma ormai le nostre case si stanno riempiendo di abbonamenti a servizi di TV streaming: Disney Plus, Netflix, Amazon Prime Video. Tutti servizi basati su un modello di business radicalmente diverso da quello del DVD.

Ma è chiaro che sta nascendo un mercato che soppianterà del tutto quello del DVD. Nel giro di pochi anni l’idea di distribuire un contenuto video digitale su un supporto fisico sembrerà storia.

 

Conclusione

Ovviamente la teoria della disruptive innovation è appunto questo, una teoria. Che ricrea un modello di spiegazione di fenomeni reali che in un modo o nell’altro possono poi, presi singolarmente, discostarsi dal modello.

La teoria dice che la disruption è generate da outsiders del mercato. Ma nel caso del video streaming, la disruption è partita da Netflix, che comunque era nata come società distributrice di DVD, e quindi nel mercato del DVD (quello poi “disrupted”) ci stava in pieno.

Ecco, questo è un esempio per chiarire che non vi dovete aspettare sempre una perfetta coincidenza tra il modello teorico e quanto avviene nella realtà. A volte, poi, le cose cambiano in base all’angolazione dalla quale le guardi.

Ricordate quando ho affermato che con iPhone la Apple non ha creato alcuna vera disruption nel mercato della telefonia mobile? Su questo si era pronunciato lo stesso Christensen: l’iPhone ha rappresentato una sustaining innovation. Di altissimo profilo, ma pur sempre una sustaining innovation (evolutiva o rivoluzionaria, fate voi).

Tuttavia lo stesso Christensen riconosceva che l’iPhone aveva invece determinato una disruption su un altro mercato, quello dei laptop, mettendo in crisi il loro ruolo di unico punto d’accesso ad internet.

Certo, il mercato dei moderni smartphone non è riuscito a rimpiazzare del tutto il mercato dei laptop, è vero. Ma è vero che l’iPhone ha reso il mercato del mobile un mercato, almeno per alcuni segmenti di clienti, in parte succedaneo a quello dei computer portatili.

***

Note

Per chi di voi voglia approfondire il tema della disruptive innovation direttamente dalle parole dello stesso Clayton Christensen, un “must” è indubbiamente la lettura dell’articolo pubblicato sull’Harvard Business Review “What is Disruptive Innovation?

Del declino del mercato dei DVD e della sua sostituzione con il video streaming mi sono già trovato a parlarne nell’articolo “I film in DVD più venduti“.

Segnalo infine un interessante articolo: “Mercato del fumetto: col coronavirus disruption in arrivo?” nel quale evidenzio come le piattaforme digitali potrebbero sostituire del tutto, negli USA, la filiera distributiva del fumetto nota come comics direct market (in sostanza nelle fumetterie americane). Questo comporterebbe la scomparsa di una storica azienda, la Diamond che controlla l’intera distribuzione nelle fumetterie americane, sostituita da nuovi player come Comixology, piattaforma dedicata al fumetto digitale.


Condividi