Che differenza c’è tra un incubatore e un acceleratore? Cosa significa traction? Cosa si intende per Round A piuttosto che Round B?

L’universo startup è spesso espresso con una terminologia oscura per tanti, al punto da sembrare un po’ una sorta di linguaggio in codice fatto per tenere fuori chi non faccia parte di quell’universo.

E allora inauguriamo una serie di articoli pensati per fare chiarezza su tutti questi termini apparentemente un po’… arcani.

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Tre ventenni qualunque? No. Si tratta dei co-founder di una startup destinata a cambiare il modo in cui ci relazioniamo con gli altri.

Cosa è una startup? Alla ricerca di una definizione

Non solo ci sono termini che ci lasciano confusi, ma anche termini per i quali ci sentiamo tranquilli nell’attribuire un significato, rischiando però di prendere una cantonata.

È proprio il caso del termine startup.

Provate a chiedere in giro a un po’ di gente cosa intendano per startup.

Qualcuno vi risponderà che si intende semplicemente una nuova azienda, appena creata. Qualcun altro magari aggiungerà alla spiegazione precedente che l’azienda appena fondata opera in settori relativi alle tecnologie digitali.

E allora in questo primo articolo partiamo dai fondamentali: cosa è una startup?

Esistono diverse definizioni, non sempre convergenti. E allora, per evitare confusione, ci focalizziamo sulle definizioni date da due importanti autori, nati non dal mondo accademico ma proprio da una esperienza da startupper: Eric Ries, Steve Blank.

 

La definizione di startup secondo Eric Ries: l’estrema incertezza

Cominciamo da Eric Ries, autore di “The Lean Startup“, una pubblicazione che ha dato vita ad un vero e proprio movimento.

Secondo Eric Ries:

“Una startup è una istituzione umana progettata per creare un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incertezza.”

L’ultima parte è cruciale: soffermiamoci allora un momento.

Condizioni di estrema incertezza

Se lanciamo un’azienda di ristorazione, o di servizi di logistica, o di produzione di accessori moda, abbiamo a che fare con aziende che potrebbero chiudere, perché potrebbero essere inefficienti o poco competitive.

C’è quindi una condizione di rischio, è vero, che è un concetto probabilistico: può andare bene, può andare male, anzi disponiamo ad esempio di statistiche che ci dicono che nel 35% dei casi un nuovo ristorante andrà male.

Ma non di incertezza, dove per incertezza si intende l’assenza di sufficiente conoscenza: non siamo nemmeno in grado di stimare un rischio in senso probabilistico, perché siamo in un territorio totalmente nuovo, del tutto sconosciuto.

Le aziende prima citate si trovano ad operare infatti in mercati ben noti se non maturi, e con modelli di business ormai consolidati e ampiamente diffusi. Per quanto tali mercati e modelli di business siano ben noti, queste aziende non sono esenti dal rischio, ma non si trovano a operare in condizioni di estrema incertezza.

Se invece lanciamo un’azienda che propone l’uso di AR (augmented reality) per utilizzo in ambito chirurgico, o un’azienda che produce droni per migliorare la produttività in agricoltura, o un’azienda che applica l’AI (artificial intelligence) ai viaggi spaziali, allora abbiamo a che fare con condizioni di estrema incertezza.

Non sono certo nemmeno se sarò in grado di realizzare il prodotto che ho in mente. E a dirla tutta non sono nemmeno certo che possa esistere un mercato per tale prodotto, o che addirittura possa esistere un cliente che paghi per il nostro nuovo prodotto o servizio!

La startup come portatrice di innovazione

La definizione di Eric Ries, se ci pensate bene, si focalizza sulla startup come portatrice di innovazione. E innovare implica porsi in condizioni di incertezza.

Nulla garantisce che un’innovazione possa funzionare, anzi occorre dimostrarlo. Come? Con una metodologia ben precisa, che Ries descrive nel suo libro “The Lean Startup”, e che implica sperimentazione tramite MVP ovvero Minimum Viable Product.

Come spiega Eric Ries:

“L’attività fondamentale di una startup è trasformare idee in prodotti, misurare come i clienti rispondono, e quindi apprendere”

Su questo concetto si basa la sua metodologia, Lean Startup, che si sviluppa su un approccio iterativo che descrive come Build-Measure-Learn (costruisci, misura e impara).

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Una vera startup nasce per fare innovazione. Una grande startup nasce per generare disruption.

La definizione di startup secondo Steve Blank: un’organizzazione temporanea

Steve Blank è un imprenditore, autore, e ideatore del metodo per startup noto “customer development”.

Ed ecco la definizione di startup che Steve Blank offre nel suo celebre libro “The Startup Owner’s Manual”:

“Una startup non è la versione più piccola di una grande azienda. Una startup è una organizzazione temporanea in cerca di un modello di business scalabile, ripetibile e profittevole.”

Che quando parliamo di startup non ci riferiamo ad un aspetto dimensionale dell’azienda ormai lo abbiamo capito; quindi, sulla prima parte della sua definizione non ci soffermiamo nemmeno.

L’aspetto importante è un altro: Steve Blank chiarisce che una startup è una organizzazione temporanea, destinata inevitabilmente a trasformarsi per sopravvivere. Perché non ha ancora identificato il modello di business che le consentirà di sopravvivere e crescere.

Ne vale la pena ragionare un momento su questo concetto di “modello di business scalabile, ripetibile e profittevole”.

Scalabilità, ripetibilità, profittabilità

1. Scalabilità

Il concetto di scalabilità di un modello di business nasce dal concetto di economie di scala. Un modello di business scalabile consente ad un’impresa di crescere in maniera importante senza che tale crescita sia frenata o vincolata ad una immissione rilevante di risorse addizionali.

Pensate ad un ristorante con un certo numero di coperti. Se voglio raddoppiare il fatturato, dovrò più o meno raddoppiare il numero di coperti, il numero di cucine, il personale in sala, e così via. La crescita è strettamente legata alle risorse siano disponibili.

Pensate al contrario ad una piattaforma come eBay: una volta creato il marketplace (con i server per l’hosting, etc.) il numero di transazioni gestite e quindi il volume d’affari di eBay può elasticamente moltiplicarsi x2 oppure x10 o persino x100 senza che sia speso un solo dollaro in più per i server o altro.

Il fatto che spesso le startup siano in settori relativi a tecnologie digitali non significa che una startup debba necessariamente un’azienda “digitale”. Il punto è che il digitale consente molto più facilmente la scalabilità. Un classico business industriale, fatto di impianti produttivi e manodopera, ha un intrinseco limite in termini di scalabilità: la crescita, in un modello di business a bassa scalabilità, andrà sempre di pari passo all’incremento delle risorse impiegate.

2. Ripetibilità

Per ripetibilità, in riferimento ad un modello di business, intendiamo che sia facilmente e rapidamente replicabile in altri tempi ed altri luoghi.

Una applicazione come Douyin, nata in Cina nel 2016, ha visto un rapidissimo roll-out internazionale per il quale sono stati necessari pochi cambiamenti. Tra questi il nome: noi la conosciamo come TikTok.

3. Profittabilità

Su questo non ci soffermiamo: è lapalissiano che una startup possa accettare perdite nel suo P&L anche per diversi anni, ma ciò che conta – per i suoi investitori – è che venga individuato un modello di business che nel lungo periodo generi profitti.

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In un unico scatto, due dei più grandi startupper di tutti i tempi.

La definizione di startup secondo… il Ministero dello Sviluppo Economico

Ed ora guardiamo alla definizione di startup secondo un punto totalmente diverso: quello più prettamente legale e fiscale.

Il Ministero dello Sviluppo Economico dà questa interessante definizione:

La startup innovativa è un’impresa giovane, ad alto contenuto tecnologico, con forti potenzialità di crescita e rappresenta per questo uno dei punti chiave della politica industriale italiana.

Una definizione che ha poco a che fare con quelle prima esaminate di Ries e Blank: non parla di condizioni di estrema incertezza o di organizzazione temporanea o di ricerca del modello di business giusto. E parla di alto contenuto tecnologico, quando abbiamo visto che la tecnologia – per quanto nei fatti di primaria importanza nelle startup – non è però un elemento realmente distintivo concettualmente.

Ma è una definizione di startup da non sottovalutare. Infatti, si traduce in requisiti indispensabili per poter beneficiare delle agevolazioni previste in Italia per le startup, in particolare quelle previste dal cosiddetto Decreto Rilancio ovvero il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34.

Insomma, è una definizione che in concreto conta, eccome. E tutto sommato non è molto distante dall’idea comune che abbiamo delle startup: imprese giovani, altamente tecnologiche, create con l’ambizione di grande crescita.

Ovvero, dovendosi trattare di una impresa giovane:

  • è un’impresa costituita da non più di 5 anni
  • ha fatturato annuo inferiore a € 5 milioni
  • non è quotata
  • non distribuisce utili

Dovendosi poi essere ad alto contenuto tecnologico ha come oggetto sociale lo sviluppo di un prodotto o servizio appunto ad alto valore tecnologico.

Infine, dovendo avere sulla carta un rilevante potenziale di crescita, si richiedono requisiti oggettivi quali un certo livello di spese di ricerca e sviluppo, etc.

Per maggiori approfondimenti vi invito a visitare, se vi interessasse, la pagina dedicata alle startup innovative sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico.

 

Se vi ha interessato l’argomento, segnaliamo l’articolo – sempre su questo blog – dedicato a “Le cause di fallimento delle startup”


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