Abbiamo già avuto modo, nell’articolo “Come evitare di lanciare prodotti di cui nessuno ha mai sentito il bisogno“, di parlare del concetto di Minimum Viable Product, ovvero di quel processo iterativo con il quale l’azienda sviluppa man mano, partendo da un puro concept, il prodotto finito, ma fermandosi in ogni fase dello sviluppo per confrontarsi direttamente con i clienti prima di procedere.

Questo comporta evitare di sviluppare il prodotto finito da proporre al mercato, ma raccogliere in ogni fase dei dati per conoscere sempre meglio le reali esigenze dei clienti, facendo fare ai prototipi graduali passi in avanti.

Si parte, appunto, da un concept, per arrivare poi ad un simulated MVP, che non è ancora un vero e proprio prototipo ma un prodotto “vuoto”, privo della tecnologia sottostante affinché possa funzionare, ma sufficiente per dare al cliente un’idea del prodotto e dell’esperienza di uso.

Forse l’idea più vivida di cosa possa essere un simulated MVP può provenire da una delle più incredibili frodi della storia. Facciamo un salto indietro nel tempo.

 

Un automa intelligente del XVIII secolo

Nella seconda metà del XVIII secolo fece scalpore una straordinaria invenzione, sviluppata nel 1769 dall’ungherese Wolfgang von Kempelm. Si trattava di un automa, vestito alla moda mediorientale e per questo noto come “il Turco“, capace di giocare a scacchi, e di farlo così bene da battere alcuni dei migliori scacchisti europei del tempo. La macchina fece ovviamente gridare al miracolo.

E’ vero che la meccanica del tempo aveva consentito di sviluppare congegni straordinaria, che videro realizzazioni sbalorditive nell’orologeria, ma da qui a pensare che un automa meccanico – per quanto sofisticato – possa non solo muovere dei pezzi sulla scacchiera ma persino elaborare dati al punto di poter ragionare sulla scacchiera….

Insomma, il geniale ungherese avrebbe anticipato le prestazioni raggiunte solo negli anni ’90 dai moderni computer. Questa invenzione era così sbalorditiva che dopo il tour europeo fu portata negli Stati Uniti, dove replicò le sue incredibili prestazioni e affascinò lo scrittore Edgar Allan Poe che dedicò al “Turco” un suo celebre racconto.

Una ricostruzione dell’automa di Von Kempelen

 

Certo, c’era anche qualcuno che era sospettoso, ma prima di ogni partita la massiccia base della macchina, sottostante l’automa, veniva aperta e in effetti si vedevano solo ingranaggi…

Oggi sappiamo che il “Turco” nascondeva nella base un fortissimo giocatore di bassa statura. Prima dell’esibizione si aprivano alcuni sportelli uno dopo l’altro per mostrare il contenuto, ma come nei classici giochi di magia (si pensi alla donna segata) il giocatore si muoveva abilmente da un angolo all’altro della voluminosa cassa per non farsi vedere.

Ma a suo modo il marchingegno era geniale, perché con un meccanismo di magneti c’era una scacchiera interna che replicava lo spostamento dei pezzi esterni, e quindi il giocatore occultato poteva “vedere” le mosse e muovere le braccia del finto automa.

Purtroppo il Turco fu distrutto nel 1854 in un incendio a Filadelfia, peccato. Ma il geniale ungherese non si era limitato all’automa giocatore di scacchi: aveva anche prodotto una favolosa “macchina parlante” meccanica (lascio a voi indovinare il…meccanismo interno).

Ebbene, il Turco – al di là dell’essere stato una di quelle truffe rimaste nella storia della scienza – rappresenta molto bene l’idea di un simulated MVP, capace di ricreare l’esperienza finale senza però disporre ancora della tecnologia. In una start-up perché la tecnologia non è ancora finalizzata, nel caso del Turco perché mancavano ancora un paio di secoli per poterla sviluppare!

 

L’illusione di Von Kempelm diventata oggi realtà

Esatto, due secoli. I primi studi che ipotizzavano algoritmi capaci di permettere ad una macchina calcolatrice di giocare a scacchi sono stati concepiti alla fine degli anni ’40 dello scorso secolo, ma solo nel 1967 un calcolatore programmato per giocare ha fatto il suo esordio ufficiale in un torneo di umani, sia pure con risultati modestissimi.

Con lo sviluppo dell’informatica degli anni ’80’ e poi ’90 i programmi hanno fatto passi da gigante, sino al celebre scontro tra il campione del mondo Garry Kasparov con Deep Blue dell’IBM nel 1996, match faticosamente vinto 4-2 dallo straordinario Kasparov. In quel match, per l’ultima volta un umano riuscì a battere la macchina.

Nel 1997, in un nuovo match, Kasparov fu battuto da Deep Blue (potete trovare un buon articolo su “La Stampa” qui), e da allora in avanti gli ulteriori progressi degli algoritmi hanno reso proibitivo anche solo pensare che il più forte scacchista al mondo possa battere un qualsiasi “chess engine” di buon livello.

 

 


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