Imprese B2B e marketing: il brand è un elemento centrale, che purtroppo spesso non usufruisce di attenzione e risorse come meriterebbe. In questo articolo, alcune riflessioni sul ruolo del brand nel B2B, su cosa lo differenzia da un contesto B2C, e alcune best practices di imprese B2B che hanno saputo valorizzare questo asset, intangibile ma prezioso.

Il brand ha da sempre rivestito un ruolo chiave nei mercati consumer. Nulla di strano in questo, giacché il concetto di marca è nato oltre un secolo fa nell’ambito dei prodotti di largo consumo, e la storia di uno dei più celebri brand di sempre, Coca-Cola, ne è un ottimo esempio.

Tuttavia, negli anni 70 l’attenzione al valore del brand si è diffusa gradualmente nelle aziende B2B. Si è trattato di un’onda lunga, partita dagli Stati Uniti, in particolare da aziende innovative in settori tecnologici, che hanno compreso i molteplici benefici del brand anche nel B2B: aziende come IBM, Microsoft, Oracle, la cui brand equity oggi non ha nulla da invidiare ai brand di grandi aziende di consumer goods.

Oggi anche le PMI attive in mercati B2B stanno seguendo la strada già intrapresa dalle grandi corporation da tempo, anche se in Italia sembra esistere un certo ritardo. Anzi, non è raro incontrare ancor’oggi imprenditori apertamente scettici sul ruolo del brand nella loro azienda.

E allora è bene fare un passo indietro e chiarirci le idee su quali siano i benefici del brand per le aziende business to business.

 

I benefici del brand nel busines to business

Perché le imprese B2B dovrebbero focalizzarsi sul brand bei loro piani di marketing?

Se dovessimo dare una risposta sintetica, potrebbe bastare l’espressione lapidaria espressa da un guru del marketing come Philip Kotler:

“La gestione del brand per i beni industriali e i servizi rappresenta un’unica ed efficace opportunità per stabilire vantaggi competitivi duraturi.”

Potendo dare una risposta più analitica, ecco un elenco di benefici tangibili per l’azienda:

  • posiziona l’azienda in un modo che nessun buyer potrà ignorarla come possibile scelta
  • rende i responsabili d’acquisto più tranquilli nell’acquisto perché percepito come meno rischioso… come si diceva una volta negli States “non potrai mai essere licenziato per aver acquistato IBM”. Raramente un buyer si avventurerà con fornitori poco noti e poco visibili sul mercato, perché se tale scelta si dimostrasse un errore, sarebbe difficilmente giustificabile internamente 
  • il brand semplifica e rende più rapida la decisione del buyer, in quanto il brand comunica in maniera immediata un set di valori (affidabilità, competenza, ecc.). Brand meno noti richiedono uno sforzo cognitivo per essere “interpretati”.
  • il brand a volte è l’unica cosa che può fare la differenza quando il buyer deve selezionare un prodotto o un servizio che sia una commodity, ovvero dove quanto offrono i diversi fornitori è sostanzialmente indifferenziato
  • un brand forte aiuta il buyer nella scelta quando egli ha limitatissima conoscenza di quella categoria merceologica, e l’unica cosa che gli resta da fare per decidere è affidarsi al brand che emerge nella categoria
  • il brand consente di applicare un premium price al prodotto / servizio: maggiore valore percepito dal cliente grazie al brand, prezzo più alto, maggiore fatturato a parità di volumi, maggiore profittabilità
  • il brand dà un contributo rilevante nello sviluppo della fidelizzazione del cliente, e creerà delle preziose resistenze nel caso in cui il cliente in futuro valutasse un cambio del fornitore.

Sui benefici del brand nel mondo del business to business avremo modo di parlarne nuovamente in futuro, ma ora soffermiamoci su una classica domanda che si pone l’imprenditore o il manager di una impresa B2B: gestire un brand nella mia impresa è come gestire un brand nel B2C?

 

La gestione del brand: la differenza tra B2B e B2C

La risposta immediata alla domanda non può essere netta. Da una parte il brand è nato in una dimensione business to consumer, e pertanto il mondo B2B ha tantissimo da imparare dall’esperienza e dalle best practice del mondo B2C, che sono a volte trasferibili quindi nel B2B. Ne è un esempio l’inbound marketing, nato in un ambito B2C ma rapidamente allargatosi al B2B.

Tuttavia, sarebbe un errore ignorare alcune differenze fondamentali. Riepiloghiamole in breve quelle principali, tenendo però in mente che l’elenco è ben più articolato.

(1) il profilo del Cliente

Nel mondo consumer il cliente è un singolo responsabile d’acquisto (ad esempio il genitore che acquista elettrodomestici dei quali usufruiranno altre persone della famiglia), o spesso lo stesso consumatore (il cliente del supermercato che acquista un prodotto alimentare per sé). In ogni caso è un individuo.

Nel mondo B2B invece vi è alla base una relazione tra imprese. Il cliente è infatti rappresentato da una organizzazione aziendale, più o meno complessa. Di conseguenza, il cliente coinciderà raramente con una singola persona fisica (a parte il caso di imprese individuali o singoli professionisti), ma si concretizzerà solitamente in più persone coinvolte nel processo d’acquisto con differenti ruoli (buyer, influenzatori, decisori, utilizzatori, etc.)

(2) le motivazioni per l’acquisto del Cliente

È un punto strettamente connesso al precedente. Nel caso del B2C, trattandosi di persone, le motivazioni connesse alla sfera emotiva, percettiva, sociale, saranno prevalenti anche quando il cliente crederà di fare scelte puramente razionali. A volte gli acquisti saranno persino d’impulso. E il brand inevitabilmente giocherà la sua partita facendo leva su queste motivazioni.

Nel caso del B2B siamo di fronte ad acquisti per i quali le motivazioni stesse sono razionali, e le valutazioni e le decisioni, di conseguenza, saranno fortemente basate su una dimensione ben poco emotiva.

Su questo punto mi soffermerei però un momento, ricordando che nel B2B non viene mai a mancare un aspetto relazionale tra persone di due organizzazioni (il venditore e il buyer), e quindi in realtà la sfera più emotiva rientra facilmente in gioco.

Spesso la transazione B2B viene vista come un processo razionale, basato su aspetti tecnici e di prezzo, quantificabili e misurabili. Non è esattamente così: come afferma Bryan Kramer, social media strategist, è sempre una relazione H2H ovvero human to human.

Sotto questo punto di vista, tra B2C e B2B non vi è alcuna differenza: è pur sempre H2H: human to human. Non bisogna dimenticare mai che il buyer è una persona, e la dimensione percettiva ed emotiva non viene mai a mancare, anche quando sembra che il processo di acquisto sia del tutto razionale.

Il brand nel B2B ha allora un valore proprio perché comunica valori a delle persone, nell’ambito di una relazione tra imprese sotto la quale resta pure sempre una relazione H2H.

(3) ruolo del personale nell’interfaccia col Cliente

Come regola generale, nel B2C è raro che personale dell’azienda si interfacci col cliente. Solitamente si raggiunge il cliente tramite intermediari, distributori, retailer, siano essi online o offline. Certo, ci sono delle eccezioni – si pensi ad una catena di fast food – ma la regola generale resta.

Nel B2B invece il personale dell’azienda riveste un ruolo fondamentale nella relazione col cliente, e non parliamo solo nell’ambito delle funzioni di vendita ma anche di assistenza post-vendita o di consulenza. In questo senso, è importante che i valori del brand, nel business to business, siano incorporati, assorbiti, espressi dal personale che è a contatto diretto col cliente. In un certo senso, il personale è ambassador del brand, e questo è un aspetto che il brand management non può ignorare.

Sviluppare il miglior brand possibile ma non riuscire a trasmetterlo tramite il personale a contatto col cliente è in cima alla lista delle cose da non fare nel mondo B2B.

 (4) content marketing

Il content marketing assume nel B2B un ruolo rilevante come veicolo di informazioni accurate e dettagliate. A differenza del B2C, il content marketing non può focalizzarsi solo sulla USP (unique selling proposition), o far leva su aspetti emotivi, ma deve sviluppare contenuti informativi e divulgativi utili per i processi decisionali del potenziale cliente (lead o prospect). Anche se il tone of voice della comunicazione conta: è sempre una relazione H2H, ricordi?

 

Potremmo andare avanti nell’indentificare ulteriori differenze tra B2C e B2B che hanno un impatto sullo sviluppo e gestione del brand, ma fermiamoci qua e riepilogando diciamo che:

  • il ruolo del brand nel marketing strategico di una azienda B2B è rilevante: ignorare questo fatto è un errore fatale
  • il contesto in cui avviene la commercializzazione è radicalmente diverso, per cui se un brand nei settori consumer farà leva su certe corde quasi irrazionali, un brand in un settore B2B dovrà necessariamente esprimere valori “aziendali” quali affidabilità, autorevolezza, serietà, professionalità, competenza, esperienza e capacità di innovazione
  • tuttavia, la relazione tra imprese resta pur sempre una relazione human to human, ma questo non fa altro che rafforzare il ruolo che un brand ben gestito può rivestire come vantaggio competitivo.

Andiamo ora ad esplorare tre aziende B2B che hanno saputo realizzare strategie di brand di successo e che possono fungere da riferimento e ispirazione per altre imprese.

 

Tre esempi di eccellente brand marketing nel B2B

Esaminiamo ora tre esempi di grandi imprese B2B che hanno dimostrato una eccellente gestione del brand marketing: Intel, FedEx e Adobe.

In-branding: il caso Intel

Intel con il programma di branding Intel Inside ha saputo far emergere il suo prodotto in una categoria, i microchip, divenuta ormai una commodity.

Come Intel ha saputo rendere i suoi prodotti premium price? Facendo leva sul brand per incrementare il valore del suo prodotto nella relazione con i clienti diretti (i produttori di PC).  E come potenziare il brand?

Facendo in modo tale da raggiungere il cliente finale, la persona o l’azienda che compra il PC, in modo da avere un brand che abbia valore anche per tale cliente (cliente indiretto, è vero, ma dal quale si genera la domanda indiretta).

Un produttore di PC non potrà ignorare il fatto che i suoi clienti danno peso, nella scelta d’acquisto, alla presenza all’interno del PC di quella specifica marca di microchip

E come farlo? Il meccanismo è complesso, ma in breve: con quel geniale programma di co-branding, anzi di in-branding, col quale Intel concorda con i suoi clienti (ma sarebbe a questo punto più preciso definirli partner) che il logo Intel sia inserito in ogni comunicazione pubblicitaria del produttore di PC e sullo sticker “Intel Inside” che avrete notato sulla tastiera di tanti laptop.

B2B brand marketing intel insideL’approccio di Intel è un ottimo esempio in cui, pur restando il modello di business un B2B, il marketing strategico viene contaminato da logiche B2C creando un prezioso canale diretto verso il cliente finale

Come potrebbe il brand della vostra azienda avere una preziosa visibilità sul prodotto finale del vostro cliente? Darebbe questo valore aggiunto, nel tempo, al vostro brand e quindi migliorare nettamente il posizionamento del vostro prodotto?

Family branding: il caso FedEx

Le architetture di un brand rientrano in due modelli. Il primo è la cosiddetta House of Brands, dove c’è un corporate brand e al di sotto una serie di family brand. È una architettura molto comune nel B2C, in particolare nel largo consumo: pensate ad una nota multinazionale, Procter & Gamble, che produce numerosi prodotti ma nessuno di questi è brandizzato P&G, ma piuttosto Pampers, Pantene, Gillette, Oral-B e via dicendo.

Il secondo modello è la Branded House, dove c’è un corporate brand e al di sotto una serie di family brand derivati. Questa secondo modello è molto comune proprio nel B2B.

Un classico esempio è FedEx, che ha saputo perfettamente lavorare intorno al suo brand corporate, connettendolo a concetti di fiducia, efficienza ed affidabilità, e poi declinare il corporate brand sui suoi diversi business mantenendo un perfetto allineamento ed integrazione architettura di brand. Ogni investimento sul brand principale ha quindi un ritorno su tutti i family brand.

B2B FedEx marketing brand

Il brand sui social media: il caso Adobe

Quando si parla di B2B e di social media, il pensiero va immediatamente a Linkedin. In realtà una attenta analisi del profilo del cliente può portare a strade molto diverse.

Adobe, volendo far leva sul suo brand in connessione alla creatività (che molti utenti professionali di Adobe esprimono nel loro lavoro), si è focalizzata su Instagram uno dei più “engaging” brand B2B, con 1.2 milioni di follower decisamente molto attivi.

Non è solo questione di numeri. Dal canale Instagram, Adobe propone ai suoi follower la produzione di contenuti creativi ispirati a temi sociali, ai quali dà poi visibilità tramite i post. Ad esempio, con l’hashtag #WomenCreateWednesday ha lanciato “il mercoledì delle donne creative”, dando visibilità al potenziale delle donne nel design e nella creatività.

Davvero una dimostrazione eccellente di utilizzo dei social e degli UGC (user generated content), quello di Adobe, che farebbe invidia a tante aziende B2C: connettere il brand al cliente attraverso tematiche sociali e valoriali. L’ennesima dimostrazione che il business to business, come dicevamo, è pur sempre human to human.

 


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