Siamo nel 1979. Sul magazine Harvard Business Review appare un articolo, firmato da un giovane “associate professor” della Harvard Business School.
L’articolo, “How competitive forces shape strategy”, è uno di quegli che passerà alla storia nella scienza della strategia aziendale.
E l’autore diventerà presto un accademico di fama mondiale. Parliamo di Michael Porter.
Lo abbiamo già incontrato in questo blog più volte, anche recentemente quando ho illustrato le celebri “Porter’s generic strategies” nell’articolo “Le strategie di business e il vantaggio competitivo“.
Qui parliamo invece del modello noto come “Porter’s five forces”, le 5 forze competitive di Porter: un modello che prende in considerazione 5 fattori economici che generano per ogni impresa delle forze competitive.
Cosa sono le forze competitive?
Ma cosa intendiamo per forze competitive?
Sono quelle forze riconducibili ad altre organizzazioni (o più raramente singoli individui) che possono ridurre anche nel breve periodo la capacità dell’impresa di generare profitti. Da non confondere con le forze macroeconomiche.
Le forze macroeconomiche sono trend che nel lungo periodo possono avere un impatto, anche positivo, sull’impresa. Trend attinenti alla sfera social, o demografica, o economica, o politica, o – last but not least! – tecnologica dell’ambiente in cui si trova ad operare l’impresa.
Cosa ben diversa dalle forze competitive, che sono – ribadiamo – riconducibili ad organizzazioni con le quali si entra in un conflitto, o comunque in un confronto.
Il modello delle 5 forze competitive di Porter
E’ un modello importante, e non soltanto da un punto di vista puramente accademico.
In ogni processo di pianificazione strategia, nella fase preliminare, non può mai mancare un assessment delle forze competitive con le quali si deve confrontare l’impresa.
Naturalmente in questo momento, leggendo, starai pensando alla concorrenza. Giusto. Ad esempio un’azienda come Mercedes, nel settore automobilistico, non può ignorare come si muovono sul mercato aziende come BMW o Audi.
Ma il Porter dice qualcosa di più. Le forze competitive non derivano solo dalla concorrenza di settore. Il Porter ha infatti avuto il merito, col suo modello, di far luce su ulteriori fattori che ogni strategia deve considerare.
In tutto il Porter ha incluso nel modello 5 fattori. Esaminiamoli uno ad uno.
Concorrenza esistente nel settore.
Questo è il più intuitivo. Citavamo prima BMW o Audi per Mercedes. Inutile cercare altri esempi: in un’economia di libero mercato la concorrenza è presente ovunque. Tutte le imprese vivono in un contesto concorrenziale.
Non solo. La concorrenza è un potentissimo fattore, ma assolutamente positivo nel lungo periodo per il mercato.
Spinge infatti le imprese verso maggiore efficienza interna, e al contempo verso una continua ricerca per creare valore sempre più allineato ai bisogni del cliente.
Nuovi entranti nel settore
Ma l’impresa deve essere attenta anche a quella concorrenza che ancora non è visibile, o appare trascurabile: le imprese che entrano nel settore.
Perché in ogni settore, a meno che non vi siano delle serie barriere all’ingresso, ci sono sempre nuove imprese, che potrebbero nel lungo periodo costituire una minaccia. Entrano nel settore a volte in punta di piedi, ma gli esiti sono imprevedibili.
Torniamo all’esempio di Mercedes. Senz’altro ci sarà stato un momento in cui l’azienda tedesca avrà dovuto prendere in considerazione le mosse di quella strana azienda americana, fondata solo pochi anni prima, nel 2003, che sembrava un vero outsider nel mercato, tutta focalizzata sulla nicchia allora trascurabilissima delle auto elettriche, eppure… Oggi Tesla pesa ancora ben poco sul mercato automobilistico statunitense (circa il 3,5% nel 2020), ma il suo immenso valore in borsa la dice lunga sul suo potenziale futuro sul mercato: $ 700 miliardi contro nemmeno $ 80 miliardi per il gruppo Daimler Mercedes.
Fin qui siamo ancora all’interno del settore. Stiamo solo distinguendo tra al concorrenza esistenti e la minaccia dei nuovi entranti. Siamo quindi in un ambito che il Porter definisce competizione orizzontale, che in realtà supera il perimetro del settore in cui operiamo, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Aziende extra settoriali con prodotti sostitutivi
E qui cominciamo ad allargare lo sguardo. Perché una minaccia competitiva potrebbe provenire da un settore apparentemente separato da quello in cui operiamo.
Siamo cioè sempre nell’ambito della competizione orizzontale, ma la minaccia proviene da un settore esterno al nostro.
Ad esempio, sempre restando nel settore automobilistico, le vendite del nostro prodotto potrebbe risentire a causa di aziende di car sharing. Questo punto è importantissimo. E qui mi aggancio ad un altro eminente accademico, il professore Clayton Christensen, che ha introdotto una visione diversa del prodotto.
Il prodotto che viene acquistato perché deve espletare dei compiti. Dei “jobs to be done”. Un po’ come se il cliente “assumesse” il prodotto per assolvere ad un lavoro.
E a volte, a dirla tutta: tante volte, non ci rendiamo conto che la più seria minaccia per i nostri prodotti proviene da prodotti che sembrano lontani. Ma che poi si dimostrano capaci di espletare i “jobs to be done” anche meglio dei nostri.
Le aziende che operano nel mercato dell’orologeria o che producono sveglie elettroniche hanno visto l’impatto dei cellulari come strumento di controllo del tempo. Così come l’alta velocità ferroviaria si è dimostrata sostituiva al trasporto aereo. E così via.
Non solo. A volte i prodotti sostitutivi hanno un tale successo da far partire un declino irreversibile di un settore, che all’improvviso appare obsoleto. E’ quello che intendiamo per disruption. In questo caso più che di prodotti sostitutivi, si dovrebbe parlare di… settori sostitutivi.
Fornitori e clienti
Continuiamo ad allargare sguardo. Finora abbiamo visto le 3 forze competitive connesse alla concorrenza settoriale o extra-settoriali, ma comunque rientranti nella competizione orizzontale.
Ora andiamo a guardare al modello di business. Ebbene, è proprio dalle relazioni esistenti in un modello di business che nascono le due ultime forze competitive.
Parliamo di clienti e fornitori, che fanno parte di ciò che Porter definisce competizione verticale (il termine verticale fa riferimento alla filiera produttiva, vista dall’alto – i fornitori – al basso – i clienti).
Perché fornitori e clienti sono forze competitive? Perché esiste tra queste organizzazioni e l’impresa un continuo processo di negoziazione che determina pressione sulla capacità dell’impresa di generare profitti.
Pensate al fornitore che spinge per un aumento del prezzo die suoi prodotti o servizi. Pensate al cliente che punta a ridurre il prezzo d’acquisto.
Lo possiamo vedere anche nel contesto del business model canvas, e sono ai due opposti, come due polarità: fornitori e clienti. Attenzione: non confondetevi per il fatto che nel business model canvas i fornitori e i clienti si trovino, a causa della struttura del template, su un piano orizzontale, mentre il Porter parla di competizione verticale.
Una sesta forza competitiva?
Vedere le due forze competitive verticali (clienti e fornitori) all’interno di un business model canvas è di particolare utilità.
Come vedete, ho inserito i fornitori nel blocco delle Key Partnerships , e non a caso, perché i fornitori che davvero contano, quelli con i quali si intraprendono relazioni importanti, di lungo periodo, sono anche quelli con i quali vi è un rapporto negoziale delicato e complesso.
Ma occorrerebbe più in generale considerare le organizzazioni incluse nel blocco delle Key Partneships tra le forze competitive.
Parliamo delle imprese partner più in generale, che non sono necessariamente catalogabili come fornitori.
Il Porter non le citava, ma rientrano nella competizione verticale alla pari di clienti e fornitori. Nel 1979, anno in cui appariva il celebre articolo, la realtà delle imprese a rete, costruite su partnership, era alquanto rara. E il concetto attuale di ecosistema era allo stato embrionale.
Le imprese partner, come dicevamo, non possono essere meramente classificate come fornitori, e tuttavia rappresentano una vera e propria sesta forza competitiva. Si tratta di imprese con le quali si instaura un difficile rapporto che definiamo di coopetition, ovvero di competizione e cooperazione al contempo.
Pensate alla relazione esistente tra grandi editori di app e le aziende intorno alle quali è costruito un ecosistema e intorno alle quali quelle app gravitano, come Blizzard Entertainment e Apple.
Pensate alla relazione esistente tra un licensor di UP (intellectual properties) e un licenziante, come Warner Bros e Lego.
Nell’affermare che nel modello delle 5 forze di Porter sfugge questa sesta forza competitiva non mettiamo in discussione il modello stesso.
Semplicemente siamo di fronte alla crescente complessità delle filiere produttive nel tempo, che il Porter non poteva prevedere.
Note
Per un approfondimento sul tema delle 5 forze competitive, un must è il fondamentale articolo di Michael Porter del 1979, “How competitive forces shape strategy“.
Del professor Clayton Christensen, scomparso purtroppo nel 2020, abbiamo avuto modo di parlarne nell’articolo “Cosa è la disruption?“ nel quale abbiamo illustrato la sua celebre teoria della disruptive innovation.
Sul template del business model canvas potete trovare in questo blog numerosi articoli, ma se siete a digiuno sull’argomento suggerisco senz’altro “Cosa è il business model canvas?” e “A cosa serve il business model canvas?“.
Infine, per la tematica degli ecosistemi, potete dare un’occhiata all’articolo “Strategia di business Oceano Blu: l’ecosistema“.
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