Cosa è il design thinking? Ne abbiamo parlato in diversi articoli su questo stesso blog, ai quali rimandiamo.
Qui invece ci focalizzeremo su come funziona il pensiero del design thinker, ovvero: quale tipo di logica che viene utilizzato in questa metodologia.
Ma una definizione del design thinking (una delle tante, attenzione) può essere utile prima di proseguire:
il design thinking è una metodologia di problem-solving, prettamente umano-centrica, adatta a rispondere ai bisogni della persona con soluzioni innovative, utilizzando strumenti derivati dalla disciplina del design.
Il design thinking mira quindi a risolvere problemi dando vita a qualcosa di nuovo, che sia un prodotto, un servizio, un sistema, un business, un intero ecosistema.
A condizione che ciò a cui dà vita corrisponda a tre criteri fondamentali: desirability (che sia desiderabile dalle persone per le quali è stato creato), feasibility (realizzabile da un punto di vista tecnologico), viability (che possa essere parte di un modello di business sostenibile).
Pensiero analitico e pensiero intuitivo
Sembra quasi che nel mondo aziendale esistano due opposte scuole di pensiero.
Una prima scuola di pensiero ritiene che nel business debba essere di casa il solo pensiero analitico, che comprende sia la logica deduttiva che la logica induttiva, ma di questo parleremo estesamente più avanti.
I sostenitori di tale scuola affermano che soltanto una logica razionale, basata sui fatti, sui dati, sulle informazioni, possa essere alla base di un corretto processo di decision-making in azienda e quindi generare valore.
Una seconda scuola di pensiero sostiene all’opposto la supremazia della creatività, dell’innovazione, dell’intuizione. Una espressione ricorrente, che è un po’ la bandiera di tale scuola, è quella che afferma “Nessun prodotto innovativo è mai nato da una ricerca di mercato“. Possiamo definirla quindi come la scuola del pensiero intuitivo.
In alcune aziende, probabilmente nella maggior parte, è ben radicata nella loro cultura (e nei loro processi) il pensiero analitico. Lo si può constatare in interi settori, come la finanza, o in tante grandi corporation, nelle quali sembra quasi che la creatività sia vista come una minaccia, un rischio di destabilizzazione.
In altre aziende, in numerose startup in particolare, sembra invece prevalere una cultura – e dei processi interni – improntata al pensiero intuitivo.
Il valore nel business: frutto dell’analisi o dell’intuizione?
Analisi o intuizione, allora? Cosa contribuisce maggiormente alla creazione di valore nelle aziende?
Ci sarebbe da dibattere a lungo ma sarebbe un dibattito sterile:
la realtà dimostra come le aziende di maggiore successo sono quelle che hanno dimostrato di saper integrare entrambi gli approcci, facendo leva sui dati e sulla creatività.
Le aziende che hanno sposato esclusivamente il pensiero analitico si dimostrano nel tempo cristallizzate, incapaci di innovare e innovarsi, inadatte a sopravvivere alla disruption nel loro settore.
Al contrario, le aziende che hanno sposato esclusivamente il pensiero intuitivo, si dimostrano inefficienti, instabili, incapaci di ottimizzare costi e processi, e incapaci di ridurre l’elemento più temuto dagli investitori: il rischio.
Ma come garantire che si integrino le due scuole di pensiero, in modo tale che l’azienda sia da un lato capace di gestire il core business con efficienza e affidabilità, ma dall’altra sia capace di esplorare nuove opportunità con un approccio che richiede qualcosa che vada oltre i dati?
Ecco, il design thinking si propone come una metodologia costruita su logica e creatività al contempo, e che se assorbita nella cultura aziendale può bilanciare le due scuole di pensiero.
Il design thinking: oltre il pensiero analitico, senza rinunciare alla logica
Come riesce il design thinking a integrare la creatività nel pensiero analitico, fondendolo con la logica?
Il pensiero analitico include due modalità di ragionamento che vi saranno in qualche misura familiari: la logica deduttiva e la logica induttiva.
Il design thinking fa leva però su un terzo tipo di logica, che purtroppo non viene mai nemmeno citato nelle scuole: la logica abduttiva.
Prima di spiegarla, e chiarire la sua connessione con il design thinking, facciamo un passo indietro e rinfreschiamoci la memoria su cosa sia la logica deduttiva e cosa sia la logica induttiva.
Ma evitiamo sin d’ora un pericoloso equivoco: non stiamo dicendo che queste due logiche “classiche” siano sorpassate dalla logica abduttiva. Anzi.
Su deduzione e induzione l’essere umano ha costruito, mattone dopo mattone, la sua conoscenza del mondo. ha sviluppato il suo sapere scientifico, ha realizzato passi incredibili nel processo tecnologico.
Logica deduttiva e logica induttiva resteranno sempre alla base del progresso umano: senza di esse saremmo ancora fermi alla comprensione limitatissima e distorta del mondo che aveva l’Homo Sapiens alle sue origini.
La logica deduttiva
Nella logica deduttiva si va dal generale allo specifico.
Si parte da una regola, che funge da premessa maggiore ovvero certa. Si tratta di una regola di carattere universale, generale. In un certo senso, è la Regola, quella con la R maiuscola.
Da questo momento in poi scenderemo nello specifico.
Ad esempio, che un corpo di massa maggiore attira a sé un corpo di massa minore (mi perdonino i lettori che godono di una più accurata conoscenza della fisica rispetto al sottoscritto). In breve, la legge di gravità: qualcosa di indiscutibile.
Poi abbiamo un caso, che funge da premessa minore.
Ho tra le mani un sasso e lo lascio andare.
Infine ho un output del ragionamento, il risultato che funge da conclusione.
Quindi, data la regola (legge di gravità) e un caso specifico (lascio andare il sasso) il risultato è che il sasso cade giù, verso la superficie della Terra.
È la forma di ragionamento più “matematica” di tutte, a prova di errore. Sulla carta, è infallibile.
La logica deduttiva è la logica perfetta per fare delle previsioni, per sapere anticipatamente cosa accadrà. Ma è fondamentale che la regola che funge da premessa maggiore sia corretta: diversamente i risultati sono errati.
Se la regola è che tutti gli uccelli sanno volare, e considero che lo struzzo è un uccello (caso), dovrei avere come risultato indiscutibile che sia in grado di volare. E invece…
Nel nostro lontano passato non tutte le “regole” erano esatte, e su queste si costruivano ragionamenti distorti, se non pericolosi. Il Sole gira intorno alla Terra, le epidemie sono dovute ad una volontà divina, le streghe esistono e quindi giustamente le mettiamo al rogo, e via dicendo.
Non viviamo nel Medioevo, ma se ci pensate bene, quando in azienda si afferma che “i nostri clienti hanno sempre preferito…“, “questa strategia ha sempre funzionato…“, si rischia di creare ragionamenti deduttivi su “regole” deboli se non sbagliate.
La logica induttiva
Con la logica induttiva si va dal particolare al generale: il percorso opposto alla logica deduttiva. E mentre la logica deduttiva è squisitamente matematica, la logica induttiva è squisitamente probabilistica.
Si inverte il percorso: si osserva un caso, si osserva il risultato che ne consegue, ne deriva come output una regola. Che però non è più una regola con la r maiuscola, perché la sua affidabilità è legata al numero dei casi osservati.
Facciamo un esempio. Se sollevo un sasso e lo lascio andare (caso), cade verso il basso (risultato). Ripeto l’esperimento più e più volte, anche in zone diverse del pianeta, e ne ricavo una regola: che gli oggetti sono attratti dalla superficie della Terra.
Vedete come abbiamo invertito il percorso?
Nella logica induttiva la regola non è a monte del ragionamento, ma è a valle, è l’output finale. E non è la verità assoluta: si approssima alla verità, man mano che ripetiamo più osservazioni.
E nel nostro esempio, è davvero corretto dire che il sasso cade giù perché è attratto dalla Terra? Si, ma quella regola non è una verità assoluta, perché con ulteriori esperimenti potremmo perfezionarla ancora.
Se ripetessimo le stesse osservazioni sulla Luna, e poi osservassimo che la Luna gira intorno alla Terra (che è più grande) e che la Terra gira intorno al Sole (che è ancora più grande), miglioreremmo l’accuratezza della regola: un corpo è attratto da un altro corpo di massa superiore, non importa se sia la Terra o meno.
La logica induttiva è formidabile perché è quella che ha messo in discussione la logica deduttiva così com’era applicata nel periodo precedente al sorgere della scienza moderna, il periodo in cui le regole erano dettate dalla Bibbia o dalla filosofia aristotelica o (peggio) da credenze arcaiche popolari, e che quindi generavano ragionamenti distorti.
Ma, attenzione: occorre che l’osservazione di casi e risultati sia corretta, prima di ricavarne una regola.
E in un certo senso è contraria ma complementare alla logica deduttiva. Faccio cadere 5.000 sassi, e arrivo a capire che esiste la legge di gravità: ragionamento induttivo. Ne ho ricavato una regola, la legge di gravità, che ora mi potrà servire per un ragionamento deduttivo: se mi cade di mano una penna posso sapere con certezza matematica che finirà a terra.
Insieme, logica deduttiva e logica induttiva sono i due potenti strumenti del pensiero analitico.
La logica abduttiva
Spieghiamola con un esempio pratico, ma partendo dalle due logiche già esaminate.
Logica deduttiva. Regola: so per certo che questo sacco contiene esclusivamente delle biglie rosse. Caso: taglio il fondo del sacco. Risultato: ne escono fuori matematicamente delle biglie rosse.
Logica induttiva. Caso: faccio un taglio in un punto del sacco. Risultato: ne escono delle biglie rosse. Taglio il sacco poi dal lato opposto e ne escono ancora fuori delle biglie rosse, lo taglio ancora e ancora ma sempre biglie rosse ne escono. Quindi ho una serie di osservazioni che mi danno un minimo di certezza statistica (reale o percepita che sia).
E ne ricavo così la regola, che non è più l’input ma l’output del ragionamento: quel sacco contiene esclusivamente biglie rosse. Ricordate sempre che è un ragionamento probabilistico: basterebbe che uscisse fuori una sola biglia blu e la regola sarebbe invalidata.
Logica abduttiva. Siete pronti? Parto da un risultato: ci sono delle biglie rosse per terra. Mi chiedo perché (facendo attenzione a non scivolarci sopra).
Ipotizzo una regola: che ci sia da qualche parte un sacco che contiene soltanto biglie rosse. Come output finale ne derivo il caso: qualcuno ha tagliato il sacco.
È una logica debole, rispetto alle due precedenti. È costruita su due ipotesi, una dopo l’altra, che spiegano il risultato osservato inizialmente.
Riepilogando: la differenza tra logica deduttiva, induttiva, abduttiva
Questo schema può aiutarvi ad avere una visione d’insieme e anche come trucco mnemonico. È come se ci fosse uno slittamento delle caselle verso l’alto spostandosi da un tipo di logica all’altra.
La logica deduttiva, se parte da una regola corretta, è infallibile e automatica nella sua applicazione: le biglie non possono che essere rosse. Ma è infallibile se la regola è essa stessa infallibile.
La logica induttiva, se applicata su un numero corretto ed elevato di osservazioni, ci porta verso la scoperta della regola: quel sacco non può che contenere biglie rosse, avendolo ormai tagliuzzato da tutte le parti… Ma attenzione che al cinquantesimo taglio non salti fuori la biglia blu!
La logica abduttiva è fragile, in confronto. Ha bisogno solitamente di essere convalidata da test, sperimentazioni, che confermino le nostre ipotesi. In generale, senza una qualche forma di validazione, resta un puro costrutto ipotetico.
Questo è un punto importante, che vale la pena ripetere: un ragionamento abduttivo richiede degli esperimenti per confermare la validità dell’output. Ne riparleremo.
Ma non pensiate che la logica deduttiva sia qualcosa di bizzarro e anomalo.
È la logica che si applica nelle classiche indagini investigative in un giallo: nell’hotel c’è il corpo di un uomo accoltellato (risultato… ma di cosa?), ipotizzo che, come regola generale, un rapinatore preso dal panico possa arrivare a uccidere (regola), ne derivo è che in quella stanza d’hotel sia avvenuta una rapina “finita male” (caso).
È la logica che si usa nelle diagnosi mediche, e in tante altre situazioni della vostra vita quotidiana. Suona il telefono il sabato pomeriggio ma non fate in tempo a rispondere, vi ricordate che di regola la vostra amica Paola ha ormai preso l’abitudine di chiamarvi il sabato pomeriggio, e ne derivate che doveva essere proprio Paola ad aver fatto quello squillo.
La grande forza della debole logica abduttiva
Ma allora, se la logica abduttiva è la più debole delle tre, la più incerta nelle sue conclusioni, perché ne stiamo parlando? E cosa c’entra col design thinking?
Ce lo spiega un tale Charles Sanders Peirce, il filosofo statunitense che nel XIX studiò a fondo la logica abduttiva, e al quale si deve il merito di averla valorizzata come merita.
Charles Sanders Peirce affermava che:
la logica abduttiva ha il vantaggio di permetterci un “salto logico nella mente”: un’accelerazione nella nostra comprensione della realtà, che le altre due forme di logica non consentono.
È una logica che si applica bene nelle situazioni nuove, altamente incerte, poco conosciute.
Osservo un fenomeno che non mi spiego, immagino una regola, un modello, e se ho “immaginato correttamente” ne ricavo una possibile spiegazione del fenomeno in tempi brevissimi. Questo mi consente di fare un salto improvviso e rapido, dotandomi di una regola o modello del tutto nuovo.
È una logica debole, però, e quindi richiede necessariamente dei test, delle sperimentazioni, affinché sia validata. E inoltre ha bisogno di essere integrata dalle altre due forme di logica.
Ma quando funziona… funziona sul serio, e fa fare progressi altrimenti impensabili usando solo la logica induttiva e la logica deduttiva. Un salto nella mente, come diceva Charles Sanders Peirce.
La logica abduttiva nel design thinking
La logica abduttiva è il fil rouge sottostante nella metodologia del design thinking. Pensateci bene. Scarnifichiamo il processo della logica abduttiva alla sua essenza.
Si parte dall’osservazione di un fenomeno, che è il risultato di qualcosa che non si conosce. Si immagina una regola generale che possa inquadrare il fenomeno, e si giunge a ipotizzare un caso che sia all’origine di quel fenomeno osservato. E si procede con sperimentazioni che confermino il ragionamento.
Guardate il parallelo col processo del design thinking: si parte da una serie di osservazioni sul contesto, sul problema, sulla persona-user, si generano con la creatività dei possibili modelli, dei concept, e si validano tali modelli e concept con prototipazione e test.
Tre punti di contatto sostanziali, quindi, tra la logica abduttiva e la metodologia del design thinking. Ripetiamo il flusso:
(1) osservazione iniziale del fenomeno, del contesto, dello user, del problema
(2) generazione di concept, ipotesi, modelli, che spieghino e risolvano il problema
(3) validazione tramite prototipazione e test.
In conclusione: come pensa il design thinker
Il design thinking è una metodologia costruita su un approccio abduttivo. In quanto tale unisce arricchisce la logica con la creatività, perché ci vuole della creatività per generare modelli, concetti, prima di dimostrarli.
Ma ha bisogno di sperimentazione, e ha bisogno di integrarsi con la logica analitica, che non viene affatto messa alla porta.
Il design thinker, quindi, è una persona aperta all’osservazione, che sa far leva sulla creatività propria e del team per generare modelli nuovi, senza filtrarli o giudicarli troppo prematuramente, ma mettendoli alla prova con un continuo confronto con la realtà, tramite esperimenti.
Aprendo così la strada all’innovazione, che ricordiamo non è mai pura invenzione di qualcosa (prodotti o processi), ma invenzione applicata alla realtà, e che quindi diventa business.
Per questo, oggi, le aziende hanno bisogno di design thinker.
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