Gli NFT (acronimo di non-fungible token) sono quei certificati digitali che “vivono” sulla blockchain, e che presentano il vantaggio di attestare l’autenticità e il possesso di asset unici, non interscambiabili, con la massima sicurezza data l’inviolabilità che caratterizza la blockchain.
Date le loro proprietà, hanno dato vita ad un nuovo mercato, quello di item digitali non replicabili e certificabili. Si tratta per lo più collezionabili, opere d’arte digitale, elementi per il gaming, che lo scorso anno hanno raggiunto a livello globale un valore di mercato prossimo ai 20 miliardi di dollari.
Il modello di business nell’ecosistema degli NFT
Intorno agli NFT è nato un nuovo ecosistema, già piuttosto complesso, nel quale partecipano i marketplace nei quali avvengono le transazioni (il più noto è Opensea, ma non il solo), artisti e studi creativi (come lo Yuga Labs della celebre collezione Bored Apes Yacht Club), collezionisti e investitori, piattaforme di exchange nelle quali acquistare la criptovaluta necessaria per gli acquisti (come Coinbase e Binance), senza dimenticare le diverse infrastrutture di blockchain esistente (la più comune è Ethereum ma ne esistono diverse alternative anche maggiormente efficienti come Algorand).
Non solo: a questi player chiave citati vanno aggiunte numerose agenzie, intermediari, società di servizi, a volte difficilmente catalogabili. Piuttosto normale in un mercato emergente, che si sta ancora definendo e che sta scrivendo le sue “regole del gioco”.
Per tale ragione è prematuro parlare di ben definiti modelli di business (business model) che siano specifici nel settore dei non-fungible token. È però possibile individuare alcuni modelli ricorrenti, e che ad oggi hanno dimostrato di poter funzionare in questo contesto così altamente innovativo, generando valore e al contempo profittabilità.
Il modello di business dell’NFT publisher
Questo primo modello, fondamentale, lo definiamo “NFT publisher” ovvero di editore di NFT, in quanto corrisponde a quello dell’organizzazione che effettua il drop di NFT a fronte di revenue provenienti dagli acquisti dei collezionisti.
Un modello, quindi, non troppo diverso da quello di un normale editore di contenuti che monetizza il valore dei contenuti stessi vendendoli direttamente ad un’audience che è disponibile a pagarli per usufruirne (pensate ad una major cinematografica o musicale, ad esempio).
Certo, c’è una differenza sostanziale e importantissima: nel mondo del Web 3 il “cliente” diventa proprietario di quell’item digitale al quale è connesso quel contenuto. La sua customer experience è quindi decisamente articolata perché va oltre al solo “consumo” del contenuto.
Il modello lo rappresenteremo utilizzando il Business Model Canvas, ovvero quel template strategico ideato da Alexander Osterwalder e Yves Pigneur, del quale abbiamo diffusamente parlato proprio in questo blog.
Il modello dell’editore è il modello centrale nell’ecosistema degli NFT, perché è il motore che genera gli NFT: senza di esso, oggi non parleremmo di un mercato per i non-fungible token.
Ne vale la pena quindi descriverlo in modo dettagliato.
La proposta di valore degli NFT, il cuore del modello di business
Al centro vedrai la proposta di valore (Value Proposition) degli NFT. Volutamente non ho inserito nulla di specifico, in quanto questa proposta di valore può differire da collezione a collezione. Potremmo persino farne un elenco:
- opportunità di marginare sulle transazioni: nella fase attuale dei mercati non si può negare che in tantissimi casi ciò che interessa al cliente (chi acquista un NFT) è la possibilità di realizzare un margine dalla compravendita, sia che si realizzi in un’ottica di investimento di lungo periodo, sia che si tratti di attività di trading realizzata in tempi ristretti.
- appartenenza ad una community percepita come esclusiva: è la proposta di valore che collezioni estremamente costose, come i CryptoPunks o i Bored Ape Yacht Club, offrono a persone disposte a investire in criptovalute cifre pari persino a parecchie centinaia di migliaia di dollari, pur di far parte di una community che magari annovera tra i suoi collezionisti celebrities come Madonna, Paris Hilton o Snoop Dogg. Naturalmente l’appartenenza ad una community può anche presentare vantaggi tangibili, come la partecipazione ad eventi esclusivi oppure a servizi di alto valore.
- gratificazione nel puro possesso, come ad esempio nel caso di un’opera digitale. Vi possono infatti essere collezionisti (ed io rientro nella categoria) che semplicemente apprezzano l’idea del possesso di un NFT e di aver così contribuito economicamente alla crescita di un artista emergente.
- possibilità di accesso o di attività in ambienti virtuali, e quindi la proposta di valore non è nell’NFT in sé ma in quanto elemento di una più complessa esperienza di utilizzo/consumo.
L’elenco potrebbe ancora andare avanti proprio in quanto, alla fine, gli NFT sono puri strumenti, che di volta in volta si adattano a progetti più ampi.
Sarebbe come chiedersi quale sia la proposta di valore di un programma televisivo: ci sarebbe una enorme differenza tra un reality show, puro intrattenimento, e un documentario, opportunità di scoperta e approfondimento, e un programma di news, e quindi informazione.
Viaggio nel modello di business degli NFT: clienti e canali distributivi
Chiarito questo punto importante sulla flessibilità nella proposta di valore offerta dagli NFT, proseguiamo nell’esplorazione del nostro Business Model Canvas.
La proposta di valore viene veicolata ad un segmento di clientela (Customer Segment). Vedrai infatti a destra la casella che indica i collezionisti del mercato primario (primary market): coloro che acquistano un NFT al suo lancio, ovvero al drop.
Solitamente questi collezionisti effettuano l’acquisto in un marketplace o direttamente in un sito dove avviene il minting, e l’NFT viene così generato, a fronte di un prezzo pagato per questo. Il marketplace o il sito web sono quindi il canale distributivo della proposta di valore (Channel).
E guardando verso il futuro, i metaversi (ambienti virtuali tridimensionali costruiti per un’esperienza utente immersiva) potrebbero divenire un nuovo canale di primaria importanza nella distribuzione dei non-fungible token.
Le frecce indicano il flusso, dalla Value Proposition – tramite i Distribution Channel – verso il Customer Segment, da cui parte il Revenue Stream.
Ma qui viene la parte interessante, che rappresenta uno degli aspetti innovativi e vantaggiosi di questo mercato. Grazie alla programmabilità degli NFT, che non sono affatto oggetti digitali statici, viene quasi sempre inserita una royalty che si applica sui prezzi delle transazioni successive al primo acquisto, e quindi al mercato secondario.
Come generare ricavi con gli NFT
Il creatore degli NFT, nel nostro caso quello che abbiamo definito come “NFT publisher”, beneficia in termini di ricavi (Revenue Stream) non solo del minting price iniziale, ma anche di una percentuale sui prezzi di vendita successivi.
Ad esempio, un NFT potrebbe essere “mintato” inizialmente per 0.1 ETH (Ether, la criptovaluta della blockchain Ethereum), ma se poi fosse rivenduto a 0.5 ETH e fosse stata inserita una royalty del 10%, il creatore vedrebbe alla transazione successiva pervenire nel suo digital wallet ulteriori 0.05 ETH.
Questo è un concetto molto importante, che spiega la ragione per la quale artisti e creativi di tutto il mondo si sono riversati con entusiasmo nella sperimentazione offerta dalla nascente cryptoart.
Pensa in confronto al classico pittore che vende il suo quadro per 5.000 euro (mercato primario). Immagina che quel quadro dopo alcuni anni abbia raggiunto nel mercato secondario una quotazione di 250.000 euro. Il pittore sarebbe gratificato? Come artista forse sì, ma di questa crescita della quotazione nel mondo reale non ha alcun modo di beneficiarne economicamente e ricavare la sua fettina di valore.
Ecco spiegati, nel nostro Business Model Canvas, l’esistenza di un secondo Customer Segment (il mercato secondario) e di un secondo flusso di ricavi (le royalty), generato successivamente al “collocamento” iniziale degli NFT.
Il flusso presuppone che le transazioni tra i primi buyer degli NFT e i buyer successivi (e quindi il passaggio verso il secondary market) avvengano nuovamente su marketplace, ed in effetti è quanto accade nella maggioranza dei casi; tuttavia la natura decentralizzata della blockchain consente anche transazioni dirette tra i digital wallet.
La relazione col cliente
Andiamo avanti. Nel template la relazione con il cliente (Customer Relationship) è per gli NFT data soprattutto dalla community che viene creata intorno alla collezione. Oltre alle già citate collezioni dei CryptoPunks e della Bored Ape Yacht Club, si pensi alla community costruita da brand come Adidas o Gucci proprio grazie agli NFT.
Questo è un aspetto molto importante per i brand aziendali, in quanto la community che si viene a creare nel mondo “crypto” non fa altro che rinforzare le strategie di fidelizzazioni del cliente che vengono invece realizzate nel mondo reale per i prodotti fisici.
Ed è il motivo per cui tanti brand globali, come Disney, Coca-Cola, Mercedes-Benz, Mc Donald’s, Prada, Nike e tanti altri stanno sperimentando attivamente nel settore dei non-fungible token.
Attività, costi e risorse per lo sviluppo di non-fungible token
Passiamo ora al lato sinistro del template. Le attività-chiave (Key Activities) possono essere diverse, dipende dal progetto, ma in generale il marketing ricopre un ruolo di primissimo piano. Nel drop di una collezione non mancano mai attività realizzate sui canali digitali, che si tratti di Discord o Twitter.
Ovviamente queste attività-chiave avranno un loro peso sui costi (Cost Structure), e frequentemente sarà proprio il marketing a rappresentare uno dei costi più rilevanti. Per semplicità non abbiamo citato altri possibili costi nei quali l’editore può incorrere, che vanno da quelli connessi alla blockchain, ai costi per collaborazioni esterne (ad esempio per la programmazione di smart contract).
Quanto alle risorse-chiave (Key Resources), queste possono essere diverse, ma senz’altro nei casi di grande successo sul mercato il vero driver sarà il brand o l’intellectual property (IP) connessa agli NFT. Si pensi all’enorme vantaggio che può dare disporre di un brand come Nike o di una IP come quella della serie televisiva “Walking Dead”, o anche una IP nativa del Web3 come CryptoPunks.
Il peso delle partnership nel modello di business degli NFT
Completiamo l’esplorazione con l’ultima area, quella delle partnership (Key-Partnership). È vuota, ma unicamente in quanto le caselle che potremmo metterci dentro sono fin troppo diverse, difficilmente classificabili in categorie rigide.
Nella realtà è tutt’altro che vuota, anche perché spesso il successo di un drop è fortemente connesso al network di partner che l’editore ha saputo creare intorno a sé.
Possono rendersi necessarie partnership strategiche come la licenza per l’utilizzo di un brand o di un IP di un’altra organizzazione aziendale (e questo si rifletterebbe sulla struttura dei costi), oppure un accordo con un marketplace per avere una particolare visibilità durante il drop, o una partnership con altri creatori di collezioni di NFT.
Il modello di business del marketplace di NFT
Ne vale la pena esplorare ora un modello di business diverso, quello dei marketplace. Anche approfittando del fatto che, avendolo visto per gli editori, sei ora piuttosto rodato nell’interpretare le diverse caselle del template.
E poi è molto interessante da esaminare, in quanto rispecchia il “macromodello” forse più importante nella moderna economia digitale: quello della double-sided platform.
Si parla di double-sided platform ogni qualvolta abbiamo di fronte una piattaforma digitale nella quale si incontrano i due lati di un mercato: quello della domanda e quello dell’offerta. Se ci pensi bene, ti renderai subito conto che è un modello molto diffuso e col quale avrai avuto personalmente a che fare tante volte nella tua “vita economica”.
eBay, Airbnb, Catawiki, Vinted o anche piattaforme di trading di azioni, sono tutte piattaforme che generano per sé ricavi grazie alle commissioni applicate alle transazioni tra le parti che si sono incontrate sulla piattaforma.
Anche nel Web 3 domanda ed offerta di NFT si incontrano su marketplace come Opensea, Nifty Gateway, Rarible, LooksRare e tanti altri.
Il modello di business in questo caso è piuttosto semplice:
Si tratta di un modello di business che ha bisogno, per avere successo, dell’effetto network: il valore della piattaforma dipende dalla sua utilità nel far incontrare domanda ed offerta, e questa cresce in maniera più che proporzionale al crescere degli utenti (collezionisti che acquistano e vendono) attivi in essa.
Esistono tuttavia alcune piattaforme, la più nota è SuperRare, che punta anche ad un altro driver, a costo di rinunciare parzialmente all’effetto network. Piattaforme che privilegiano l’inserimento di collezioni ad alto prezzo, con floor price inaccessibili ai più, per spingere verso l’alto il valore delle singole commissioni di transazione, anche se il numero di queste inevitabilmente si riduce. Un modello che è un po’ l’opposto di quello di Opensea che utilizza come driver strategico quasi unico proprio l’effetto network.
Avrai notato un vuoto nella casella delle Key Partnership e della Customer Relationship.
In realtà le partnership non mancano mai: ogni marketplace sviluppa le sue relazioni strategiche, a volte con infrastrutture di blockchain, a volte con creators con IP di estrema rilevanza sul mercato, a volte con exchange di criptovalute. Troppe situazioni possibili da semplificare e catalogare in un template.
Un po’ diversa la situazione della Customer Relationship, perché non è facile per i marketplace di NFT fidelizzare gli utenti. Questi sono estremamente tattici, saltando da una piattaforma all’altra in cerca dell’opportunità migliore, confrontando i floor price della stessa collezione tra diversi marketplace, approfittando delle eventuali attività promozionali.
NFT e modello di business: quali conclusioni
Difficile trarre ora delle conclusioni, in quanto il Web 3 è un universo in espansione, ancora imprevedibile. Vedremo apparire nuovi player che sperimenteranno modelli di business del tutto alternativi [N.d.A. è quanto in questo momento stiamo esplorando all’interno di Metabrand.tech , nuova realtà italiana della quale sono Managing Partner].
E non possiamo escludere che, nell’ambito dei nuovi ecosistemi del Web 3, possano nascere modelli di business del tutto nuovi, perché basati su paradigmi davvero innovativi.
Si pensi solo all’idea del giocatore che in un multiverso costruito per il gaming diventi proprietario di un pezzo di quel multiverso acquistando un NFT corrispondente a virtual real estate: quanto è diverso, questa customer experience, da quella classica del Web 2!
E poi il cliente, in questo caso, sarebbe davvero solo un cliente? Nel momento in cui il cliente fosse un global brand importante, capace di attrarre nel suo spazio virtuale un’audience rilevante, e far partire transazioni e nuovo business, sarebbe al contempo una risorsa-chiave per il metaverso, nonché un vero e proprio partner.
I classici schemi si scontrano poi col concetto di decentralizzazione, perché stiamo parlando poi di modelli di business di organizzazioni che possono configurarsi anche come DAO, ovvero decentralized autonomous organizations.
Insomma, anche se il template ideato da Osterwalder e Pigneur resta un ottimo strumento strategico per ragionare e innovare creativamente, anche nel Web 3, nelle sue caselle interne potremmo presto trovarci tante cose… davvero sorprendenti!
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