Strategia e piccole-medie imprese: quali sono i 5 maggiori errori che si incontrano in questo difficile territorio?
Non è una domanda facile, ma se dovessi dare una risposta precisa guardando un po’ dall’alto (e un po’ da dentro) alle situazioni che si incontrano, non esiterei a identificare 5 precise aree: strategia di marketing, business model, brand, dati e sviluppo prodotto.
E’ in queste 5 aree che si tocca in maniera sensibile il gap esistente tra il mondo ideale (e idilliaco) descritto dai modelli accademici, e la realtà quotidiana delle piccole-medie imprese. E’ qui che si incontrano i 5 maggiori e purtroppo più diffusi errori. La mia esperienza di consulente aziendale per le PMI lo conferma.
Vediamoli più in dettaglio, questi 5 errori. Perché esserne coscienti è già un primo passo.
Strategia di marketing
Non vedere l’utilità dello sviluppo di una strategia di marketing.
E’ proprio nella strategia di marketing che incontriamo l’errore più classico tra i cinque, nelle nostre piccole-medie imprese. Molto semplicemente, è purtroppo perfettamente normale scoprire imprese del tutto prive di una strategia di marketing minimamente strutturata.
Il primo pensiero è allora che ci sia un sostanziale disinteresse per il marketing come funzione centrale nell’azienda.
Ma poi si scopre che non è esattamente così, anzi. Si scopre, semmai, che l’imprenditore negli ultimi due anni magari ha rifatto il sito aziendale un paio di volte, poi insoddisfatto ha fatto un po’ di attività sui social media, poi ha rinunciato per spendere in keyword advertising, poi ha fatto marcia indietro e mollato il digitale per tuffarsi in un evento fieristico, poi ha avuto l’illuminazione dell’e-commerce…
E tutto questo frenetico e confuso lavoro di sviluppo del marketing senza che vi sia stato un minimo processo strutturato di analisi preliminare, definizione di obiettivi, pianificazione delle attività, risorse e tempistica… senza nemmeno avere una idea chiara di quale sia l’obiettivo strategico a lungo periodo.
Così è come puntare di volta in volta su un numero diverso della roulette, incrociare le dita e sperare di aver indovinato quel singolo strumento ideale per crescere. Ammesso che esista…
Business model
Non mettere mai in discussione il modello di business.
“Qui da noi si è sempre fatto così”: quante volte viene in mente questa classica frase quando si pensa alle piccole-medie imprese e alla loro incapacità di innovare?
Guardando il quadro un po’ più dall’alto, quello che avviene è che è assente quella fase di riflessione su quale sia il business model sottostante l’azienda, e su quali siano le possibili opzioni per innovarlo in modo che possa generare maggiore valore.
E’ possibile pensare a segmenti di clientela nuovi? E’ possibile raggiungere il cliente tramite nuovi canali distributivi? E’ possibile riformulare la nostra proposta di valore? Si può ripensare la modalità di monetizzazione, ad esempio passando dalla vendita di un prodotto alla sottoscrizione di un servizio?
Queste sono solo alcune delle domande che ci si può porre una volta che l’impresa comprende quanto sia necessario avere la lucidità di non accettare il modello di business come dato immutabile. E domande come queste sono materiale pregiato sul quale costruire il futuro.
Brand
Non riconoscere la rilevanza strategica del brand development.
Non sto affermando che le piccole-medie imprese non riconoscano valore al brand in sé. Anzi: le piccole-medie imprese accarezzano sempre l’idea di disporre di un brand. Non è vero che non vi sia sensibilità su quanto il brand può apportare come valore alla propria attività.
Ma non comprendono che fare branding non significa solo aver creato un logo accattivante.
Perché dietro un brand che funzioni, occorre un processo di brand development. E questo piace meno, perché significa che per costruire un brand occorrono risorse, tempo, pianificazione, focalizzazione.
E’ il classico atteggiamento che un vecchio adagio popolare definiva come pretendere di avere “la botte piena e la moglie ubriaca”.
Dati
Trascurare raccolta ed analisi dei dati.
Qui ci sarebbe da soffermarsi a lungo. Si tratta – più che di un’area ben delimitata – di un diffuso atteggiamento. Un problema che impedisce di costruire delle logiche basate su dati e fatti nella formulazione delle strategie aziendali.
Non è raro infatti imbattersi in aziende che non dispongono di un lavoro sistematico di analisi dei dati, sia che si tratti di dati attinenti al conto economico, o alle vendite, o alle metriche del marketing.
Quale marginalità lorda viene generata dalle singole linee di prodotto? Qual è il trend di mercato nei principali segmenti in cui si è attivi? Cosa non sta funzionando nel traffico sul sito aziendale?
Domande basilari? Per molte piccole imprese, tutt’altro.
Sviluppo del nuovo prodotto
Gestire lo sviluppo del nuovo prodotto con processi lenti e complessi.
Questo è l’errore che lascia più perplessi. Negli ultimi 20 anni l’esperienza statunitense delle startup ha sviluppato delle metodologie in generale basate su un approccio sperimentale, fatto di generazione di ipotesi, prototipazione delle stesse, verifica tramite esperimenti.
Sia che si parli di design thinking, o di lean startup, o di agile, o anche di growth hacking nel marketing, ci troviamo di fronte ad una vera e propria filosofia di fondo, basata su un processo che si muove per prove ed errori nell’ambito di un framework che fa sì che l’errore sia voluto e non fatale per l’azienda.
Metodologie che consentono all’azienda di sviluppare ad esempio nuovi servizi o nuovi prodotti con risorse contenute, rapidità, flessibilità, e un continuo confronto correttivo e di verifica con la persona (il buyer o lo user) che determinerà il successo di mercato del prodotto.
Ebbene, paradossalmente queste metodologie, nate nell’ambito delle nuove micro-imprese e ormai ben note anche in ambito europeo, sono state oggetto di maggiore interesse del mondo delle grandi imprese, se non corporate.
Mentre le piccole-medie imprese, che sulla carta sembrerebbero idonee ad assorbire quello che hanno insegnato le startup di successo, non hanno saputo assorbire né far leva su questi strumenti agili.
Il risultato? Le piccole-medie imprese continuano a replicare i processi complessi e lenti che le grandi aziende utilizzano (o utlizzavano…) nello sviluppo del prodotto, con conseguenze negative sul time-to-market e sul reale potenziale di successo del nuovo prodotto.
Per approfondimenti, potete anche consultare su questo blog:
“La strategia aziendale delle PMI in una nuova matrice“
“La strategia di marketing digitale per PMI nel B2B“
e su Linkedin:
“Come portare competizione e innovazione nelle PMI?“
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