Cosa significa design thinking?

Il design thinking è un metodo, e al tempo stesso un approccio mentale. Si applica nelle sfide del problem-solving, ma esprime il suo pieno potenziale quando si applica alla sfida per eccellenza: l’innovazione.

Secondo alcune definizioni, consiste nell’applicazione degli strumenti del design al problem-solving. Che sia corretta o no come definizione, quest’affermazione ha il merito di evidenziare il fatto che il design thinking è una metodologia human-centered per eccellenza. La persona è al centro, con i suoi problemi, le sue percezioni, la sua visione del mondo, i suoi obiettivi. Su questo ci torneremo.

E’ un metodo strutturato formato da una sequenza di fasi, che ne costituiscono il processo. E in questo articolo ci focalizzeremo proprio su questo aspetto: le fasi che compongono il design thinking.

Fasi che variano in base al modello rappresentativo del processo. E in questo articolo di modelli ne vedremo quattro, che scopriremo partendo da tre punti di vista molto diversi tra loro, tre veri e propri modelli: il modello classico proposto dalla Stanford University, il modello del “double diamond”, e infine una matrice 2×2 poco nota ma estremamente esplicativa.

Cominciamo il nostro viaggio.

 

Le 5 fasi del design thinking secondo l’Hasso Plattner Institute of Design di Stanford

Questo è il modello più noto, potremmo definirlo uno standard. La sua popolarità è dovuta al fatto di essere stato stato sviluppato nell’ambito dell’Hasso Plattner Institute of Design di Stanford. Questo centro, noto anche come “d.school”, è parte della Stanford University ed è stato storicamente l’incubatore accademico del design thinking.

Il modello è comporto da 5 fasi:

 

Vediamola una ad una, perché ci servirà anche a capire meglio come funziona il processo e la sua finalità. Ricordando sempre che il design thinking è un processo partecipativo, che richiede un contributo di più persone che apportino competenze diverse.

Per ogni fase ho voluto inserire una citazione tratta dai documenti originali dell’Hasso Plattern Institute, citazioni che hanno il merito di comunicare il significato più profondo di ogni fase. E che ho volutamente lasciato in  inglese.

 

(1) Empathise

“To create meaningful innovations, you need to know your users and care about their lives.”

Abbiamo detto che il design thinking è un processo altamente “human-centered”. E non a caso è da qui che ha inizio il processo col quale affrontiamo la nostra design challenge.

In questa prima fase ci focalizziamo sulla comprensione più profonda delle persone durante la loro esperienza e del contesto circostante. Per questo parliamo di empatia.

 

(2) Define

“Framing the right problem is the only way to create the right solution.”

In base a quanto abbiamo compreso sullo user e sul contesto circostante, è arrivato il momento di definire in termini esatti il problema da affrontare. E la definizione deve essere precisa, significativa, e concreta al punto da stimolare soluzioni concrete.

 

(3) Ideate

“It’s not about coming up with the ‘right’ idea, it’s about generating the broadest range of possibilities.”

Questo è il momento della generazione di idee e concetti che diano una risposta al problema definito con esattezza nella fase precedente. Parliamo di soluzioni che nascono inizialmente da un mindset creativo, stimolate da un lavoro di brainstorming, e da tecniche come il visual thinking.

La fase si completa spostandosi su un mindset razionale, definendo i parametri con i quali intendiamo selezionare le soluzioni che intendiamo approfondire.

 

(4) Prototype

“Build to think and test to learn.”

In questa fase le soluzioni sulle quali abbiamo deciso di focalizzarsi (come concept di prodotto o servizio) vengono trasformate in prototipo.

 

(5) Test

“Testing is an opportunity to learn about your solution and your user.”

Fase totalmente connessa a quella precedente, nella quale il prototipo viene utilizzato per raccogliere feedback da parte dello user al quale è destinato il concept di prodotto.

E’, nel modello della d.school, la fase finale, che ci dice se la soluzione individuata sia quella corretta, da implementare. Ma attenzione al termine fase finale. Perché ciò che non deve mai sfuggire è che il design thinking è sempre un processo iterativo. Cosa vuol dire?

Che dopo la fase di test i feedback potrebbero indurci a prototipare altre soluzioni che inizialmente avevano scartato, oppure a generare nuove soluzioni perché quelle testate si sono rivelate del tutto soddisfacenti, o persino a rivedere completamente la design challenge ridefinendo il problema.

Questo vuol dire che si potrebbe tornare indietro a ciascuna delle fasi precedenti, anche più e più volte se necessario. Come dicevamo, è un processo iterativo.

Questo è l’aspetto lean del design thinking: il dare priorità alla curva di apprendimento senza fossilizzarsi nel seguire rigidamente una pianificazione immutabile. Il flusso non è mai unidirezionale, e pur esistendo una sequenzialità, questo approccio sperimentale, esplorativo, non deve mai venire a mancare.

 

Le fasi del design thinking nel modello di IDEO

Un modello simile a quello appena visto è quello proposto da IDEO, la società internazionale di design che ha sostanzialmente fatto da evangelist del design thinking nel mondo aziendale, al di fuori del perimetro accademico. Ma non è un caso, perché il fondatore della d.school, David Kelly, è stato anche il fondatore di IDEO.

Ed ecco le fasi del design thinking nel modello di IDEO:

Guardandole più da vicino abbiamo:

(1) Frame a Question (inquadrare/formulare una domanda)
Ci si focalizza sullo user per il quale intendiamo creare una soluzione per un problema, e sui suoi effettivi bisogni. Si arriva così a formulare una domanda che attiverà la “design challenge”.

(2) Gather Inspiration (raccogliere ispirazioni)
Una volta formulata la domanda iniziale, occorre entare in contatto col mondo reale, osservare le persone, cercare ispirazione e informazioni.

(3) Generate Ideas (generare idee)
Quanto raccolto nella fase precedente aiuta a evitare soluzioni ovvie a causa di un mindset limitato, per cercare piuttosto soluzioni innovative.

(4) Make Ideas Tangible (rendere le idee tangibili)
Le idee generate diventano prototipi per validarne l’efficacia come soluzoine concreta al problema.

(5) Test to Learn (testare per imparare)
I prototipi vengono testati per ricavarne feedback e rifinire ancora meglio le soluzioni, o se necessario tornare nuovamente alla ricerca di nuove ispirazioni: l’iterazione della quale abbiamo già discusso.

 

Certo, non è una mera replica del modello della d.school di Stanford. La differenza è nella sequenza delle prime due fasi,

Qui ci si pone prima la domanda (“Frame a question“), definendo con chiarezza sin dall’inizio il problema per il quale ricercare soluzioni. Poi si raccolgono informazioni utili (“Gather inspiration“) prima di procedere alla generazione di idee.

Nel modello della d.school, invece, prima si parte con una fase esplorativa, di osservazione e di raccolta di informazioni (“Empathise“, ricordate?), e solo dopo si arriva a definire chiaramente il problema (“Define“).

Ma il buon David Kelly, fondando sia la d.school che la IDEO, qualche differenza doveva pur crearla, non credete?

Per osservare modelli un po’ diversi (ma non radicalmente, come scopriremo) bisogna cercare altrove. Non più negli Stati Uniti, ma in Gran Bretagna. Dove nasce un framework molto interessante, che ogni designer che si rispetti deve conoscere.

 

 

Il design thinking nel Double Diamond

E’ un modello che è stato presentato dal British Design Council per la rappresentazione del processo di design.

Non nasce specificamente per il design thinking, ma le fasi viste precedentemente trovano una corrispondenza con il “double diamond”, a conferma del fatto che il design thinking è nella sua essenza un processo di design.

Non ci soffermeremo in maniera approfondita, avendo già esplorato questo modello nell’articolo “Capire il Design Thinking con il Double Diamond“. Qui vediamolo in maniera sintetica. Il processo di design è distinto in due blocchi sequenziali: quello del problema e quello della soluzione.

Nel primo blocco (problema) distinguiamo due fasi:

Discover: la comprensione del problema, raggiunta anche contatto con gli utenti.

Define: la fase precedente porta a degli “insights” (ovvero a delle profonde intuizioni, comunque supportate dai fatti) che aiutano a definire con precisione il problema.

Nel secondo blocco (soluzione) abbiamo nuovamente due fasi:

Develop: ricerca e sviluppo di soluzioni al problema.

Deliver: prototipazione e test delle soluzioni identificate per scartare quelle più deboli, e per focalizzarsi su quelle che invece appaiono più interessanti. Che certamente richiederanno ulteriori perfezionamenti, per cui si attiverà un ciclo continuo di prototipazione e test.

 

Visivamente possiamo vedere queste 4 fasi con un modello che non a caso viene definito double diamond:

 

nel quale possiamo identificare delle facili corrispondenze col processo di design thinking così come codificato dalla d.school:

La matrice del design

Andiamo infine ad esaminare un modello del processo di design, come il precedente perfettamente allineato al design thinking, ma questa volta visivamente rappresentabile con una matrice 2×2.

E’ un modello poco noto, sostanzialmente sconosciuto soprattutto in confronto ai due modelli prima esaminati, ma ve lo propongo perché lo trovo estremamente efficace per spiegare cosa sia il design. E’ stato proposto da Vijay Kumar, docente di design all’Institute of Technology dell’Illinois.

La matrice è costruita su due fattori distinti, ognuno costituito da una polarità. Lo capiremo meglio tra pochissimo.

Il primo fattore lo possiamo definire Reality vs Abstraction (realtà o astrazione).

Il secondo fattore invece lo possiamo definire Understand vs Make (comprendere o fare).

Combinando i due fattori, e le loro polarità, ne ricaveremo una matrice 2×2 i cui 4 quadranti corrispondono a 4 fasi del processo di design, e in particolare di design thinking.

Il processo parte dal quadrante in basse a sinistra, seguendo un percorso in senso orario.

 

(1) Know people and context

In questa prima fase si combinano Understand e Reality, e infatti siamo nella fase in cui osserviamo l’utente, la sua esperienza, il contesto. Se dovessimo cercare una corrispondenza col noto modello della d.school, diremmo che siamo nella fase Empathize.

 

(2) Frame insights

Qui siamo ancora nella fase Understand, in cui dobbiamo capire il problema, ma ci siamo spostati dalla Reality all’Abstraction.

In sostanza ricaviamo dalle osservazioni precedenti insights e dei modelli astratti, che ci consentono di capire a fondo il problema.

Corrisponde alla fase di Define. Fin qui abbiamo esaminato il problema: si passa ora alla fase della soluzione. Se fossimo nel Double Diamond, diremmo che stiamo per spostarci dal primo al secondo diamante.

 

(3) Explore concepts and solutions

Qui usciamo dall’area dell’Understand ed entriamo nell’area del Make. Che si combina con l’Abstraction. Infatti ricerchiamo concetti astratti che possano però tradursi in soluzioni concrete.

Corrisponde, nel modello della d.school, alla fase Ideate, quella della generazione creativa delle possibili soluzioni al problema prima definito.

 

(4) Build/test prototype and implement

Siamo sempre nell’area del Make, ma si torna dall’Abstraction alla Reality. Infatti in quest’ultimo quadrante mettiamo alla prova le soluzioni individuate, tramite attività di prototipazione e test, a cui dovrà seguire l’implementazione delle soluzioni.

C’è una chiara corrispondenza con le due ultime fasi del processo illustrato dalla d.school, ovvero Prototype e Test.

Come sempre nel design, il percorso non è rigido ma iterativo. I test della fase 4 potrebbero indurci a ricercare una migliore comprensione del problema, e quindi tornare in modalità Understand, spostancdoci dal quadrante 4 al quadrante 1.

Illustrando i 4 quadranti della matrice, abbiamo di volta in volta indicando le corrispondenze con la nota sequenza della d.school di Stanford.

Mentre ancora più intuitiva è la corrispondenza con il Double Diamond: il lato sinistro della matrice corrisponde al “primo diamante” (discover & define), il lato destro al “secondo diamante” (develop & deliver).

 

 

Approfondimenti

Sul modello del Double Diamond, consultate senz’altro l’articolo “Capire il Design Thinking con Double Diamond“.

Sul significato del design thinking, vi segnalo invece “Cosa è il Design Thinking? A cosa serve?

Se invece cercate un approfondimento specifico sull’utilizzo della creatività nel design thinking, potrà interessarvi “Come generare idee nel Design Thinking“.

Infine, sull’applicazione del design thinking per l’anticipazione di problemi, ma anche di soluzioni, relativi a scenari futuri, nell’articolo “Strategic Foresight: esplorare il futuro, preparare il presente” potrete scoprire di più su una metodologia ancora poco nota in Italia ma che merita senz’altro attenzione per i possibili sviluppi.

 


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