Quali regole sono decisive nel successo dell’azienda? Qual è il segreto di una performance aziendale eccellente?
Queste domande sono preziose, perché hanno da sempre stimolato lo sviluppo della nostra conoscenza sulla gestione aziendale e sulla strategia.
Senza queste domande, non saremmo mai arrivati a parlare di vantaggio competitivo, differenziazione, strategie di mercato, oceani blu o rossi che siano, e così via. Tutti concetti importanti che si sono affermati ben oltre i confini del mondo accademico, divenendo fondamentali anche nella realtà aziendale.
Probabilmente senza queste domande guideremmo ancora le aziende mescolando esperienza e buonsenso, oppure prendendoci qualche rischio di troppo, così come avveniva alle origini dell’economia moderna (e come forse accade tutt’oggi in alcune PMI…).
Ma il porsi delle domande non basta. Persino quando sono le domande giuste.
Non perché sia impossibile dare delle risposte, ma perché quelle risposte avrebbero comunque vita breve. Questo perché l’ambiente esterno delle aziende cambia di continuo, sotto la pressione di trend tecnologici, demografici, culturali, economici, politici, che modificano in maniera radicale il come l’azienda deve muoversi per mantenersi economicamente vitale nel lungo periodo, in un ambiente competitivo.
Le regole del successo di un’azienda cambiano di continuo, perché il mondo stesso in cui viviamo cambia di continuo.
Alla ricerca dell’eccellenza
Ti farò un esempio illuminante in proposito. Nel lontano 1982 veniva pubblicato negli Stati Uniti “In search of excellence” (Alla ricerca dell’eccellenza, nell’edizione italiana).
Scritto da due ex consulenti McKinsey, Tom Peters e Robert Waterman, il libro diventava rapidamente un best-seller nelle librerie americane. Spesso definito dai magazines “the best business book of all times”, nel corso degli anni 80 era decisamente il “must read” per gli studenti delle business school americane come per i CEO, avidi di scoprire i segreti dell’eccellenza aziendale.
Perché questo era quello che i due autori promettevano: scoprire il segreto che c’è dietro l’eccellenza – e quindi il successo – di una corporation, e rivelarlo nelle avvincenti pagine del libro.
Pagine che avvincenti lo erano davvero: ricordo ancora quando avevo letto la primissima edizione italiana, un vero “page-turner” usando un’espressione anglosassone molto immediata.
Come diventare aziende di eccellenza? Le 8 regole
Cosa facevano Tom Peters e Robert Waterman? Selezionavano 43 aziende che ritenevano eccellenti in base a specifici parametri, le analizzavano e infine illustravano 8 principi di management, o se preferite regole, capaci di spiegare il successo di quelle organizzazioni.
La cosa interessante era che la “ricerca dell’eccellenza”, spiegavano gli autori, era basata su una analisi di dati obiettivi e misurabili, per cui quelle 8 regole non erano concetti “spannometrici” ma evidenze sostenute da un metodo scientifico, oggettivo.
Vediamo allora queste 8 regole del successo dell’azienda, ingredienti segreti per l’eccellenza rivelati dal celebre best-seller. Ecco la lista completa:
1. Approccio empirico
2. Orientamento al cliente
3. Incoraggiamento dell’imprenditoria e dell’imprenditorialità
4. Coinvolgimento del personale
5. Enfasi su un valore chiave
6. Concentrazione dell’attività sulle aree note
7. Struttura semplice e staff ridotto
8. Flessibilità dei controlli
E ci vedevano bene. Qualcuno ha calcolato che, facendo riferimento alle 32 aziende quotate in borsa tra le 43 selezionate dagli autori, chi avesse investito $ 10.000 nel 1982 – data di uscita del libro – avrebbe visto il suo investimento raggiungere 20 anni dopo, nel 2002, il valore di $ 140.000.
Mentre chi avesse investito la stessa cifra sull’indice Dow Jones avrebbe raggiunto molto meno, ovvero $ 85.000.
In sostanza le aziende “eccellenti” selezionate dai due autori avrebbero in effetti sovraperformato, come valore in borsa, del +65% la media di Wall Street, a distanza di 20 anni dall’uscita del libro.
Le regole del successo dell’azienda in un mondo che cambia
Ma il mondo cambia, e la ricetta segreta rivelata da “In search of excellence” era destinata inevitabilmente a diventare obsoleta. Se ci fermassimo a 20 anni dopo, e quindi al 2002, dovremmo ammettere che Peters e Waterman si erano davvero rivelati i due più grandi esperti di management di sempre (ricordate quel +65% rispetto al Dow Jones?).
Ma negli anni successivi l’accelerazione del cambiamento si è rivelata fatale per molte delle società “eccellenti” di Peters e Waterman. Molte di queste, come Kodak, Kmart, Wand, Circuit City, Atari, sono fallite. Tante altre “star” dell’epoca, come Hewlett-Packard o IBM o Texas Instrument, si sono ridimensionate o appannate. Altre come Gillette sono state acquisite.
Se quell’ipotetico investitore dei $ 10.000 fosse rimasto fermo a quella lista anche oltre il 2002, avrebbe visto il valore del suo investimento declinare bruscamente.
E quel che è peggio non avrebbe colto le opportunità legate alle nuove società eccellenti del XXI secolo: Google, Amazon, Facebook, Tesla, Apple, per limitarsi ai nomi più noti.
Ma non possiamo pretendere troppo dai due brillanti autori, che non avrebbero mai potuto prevedere l’impatto delle future tecnologie digitale sull’economia delle imprese. Tom Peters e Robert Waterman sono due guru fenomenali, non due stregoni.
Piccolo aneddoto in proposito: nel 2001 Tom Peters, in un’intervista al magazine Fast Company, ammise: “Okay, lo confesso. Avevamo falsificato i dati. Parecchia gente ce lo aveva suggerito in quel tempo.”
Insomma, senza mettere in dubbio la validità delle 8 regole, la vantata dimostrabilità scientifica delle stesse un po’ veniva a cadere…
Allora, cosa determina il successo di un’azienda? Quali le regole?
Non stiamo affermando che sia impossibile dare una risposta a questa domanda. Stiamo affermando che è possibile dare una risposta, purché sia ben definita nel settore e nel tempo.
Cosa determina oggi il successo di una piattaforma per social media? Cosa garantisce oggi la sopravvivenza di un’azienda nel settore automobilistico globale? Qual è oggi il segreto del successo di un’azienda che opera com e-tailer nell’abbigliamento?
Ma regole generali, eterne, sono difficili da individuare. Le regole del successo nell’America della fine del XIX secolo sono ben diverse da quelle della Silicon Valley degli anni 90.
A meno che non siano affermazioni terribilmente generiche del tipo “soddisfare il cliente meglio della concorrenza” (che poi a pensarci bene tanto banale non è, ma quella è un’altra storia e meriterebbe un altro articolo…).
Tuttavia, proviamo a identificare delle regole sempreverdi, generiche ma non necessariamente lapalissiane, Regole che si sarebbero potute applicare agli albori del capitalismo come si potrebbero applicare ancor oggi nell’era dell’Industria 4.0.
Personalmente, sono giunto alla conclusione che se delle regole determinanti per il successo dell’azienda esistono, sono 3. Vediamole insieme.
Primo: un posizionamento vincente rispetto alla concorrenza che derivi da un prodotto “wow”
Cosa intendo per prodotto wow? Quel prodotto, o servizio, che consente nel lungo periodo ad un’impresa di porsi un gradino al di sopra della concorrenza. Perché davvero innovativo, come un’auto Tesla oggi, o perché percepibile come di un altro livello rispetto agli altri, come l’iPhone nel 2007, o perché trasmette valori di brand fortissimi come Nike.
O perché cambia il nostro modo di vivere per sempre, come hanno fatto nel passato i prodotti e servizi di aziende come Microsoft, Ford, o AT&T.
Ma senza evocare prodotti che hanno modificato il corso della storia, posizionamenti eccellenti li vediamo anche in solide e meno technology-driven aziende del largo consumo, come Ferrero o P&G o Coca-Cola, che sanno creare prodotti così diversi dalla concorrenza al punto che su quei prodotti puoi costruirci sopra brand straordinari.
L’alternativa? Che l’azienda stessa diventi una commodity, indifferenziata rispetto alla concorrenza.
Per approfondire questo concetto, cito il concetto espresso da Seth Godin nel suo libro “La Mucca Viola”: sviluppa un prodotto tale che non abbia ipoteticamente nemmeno bisogno del marketing, perché capace di staccarsi dalla concorrenza, come una mucca viola in mezzo ad una mandria di mucche tutte uguali, tutte marroni.
Secondo: un modello di business che massimizzi il valore del prodotto wow
Ma non basta spiccare in mezzo alla concorrenza se poi questo vantaggio posizionale non sai come monetizzarlo. Occorre saper rapidamente identificare quel modello di business che renda davvero vincente il nostro prodotto e il suo posizionamento, vincente non solo in termini di quote di mercato ma anche in termini di concreta performance finanziaria.
L’esempio classico è quello di Microsoft.
Bill Gates firma un accordo con IBM nel 1980 per sviluppare per loro quel sistema operativo che sarebbe diventato Microsoft-DOS. Un deal da $430.000 che avrebbe potuto essere ben più consistente se Bill Gates avesse firmato un accordo esclusivo. Ma Gates non ha alcuna intenzione di avere le mani legate nel commercializzare tale sistema operativo anche con altri produttori di PC, e firma un accordo privo di clausole di esclusività per la sua azienda.
Ha intravisto un modello di business altamente scalabile, che avrebbe fatto leva sulla rapida diffusione dei PC. Il DOS sarebbe divenuto “il” sistema operativo per ogni PC venduto in futuro, non solo per i PC della IBM. Non a caso, al momento della firma IBM ha una capitalizzazione pari a 3.000 volte Microsoft, ma un decennio dopo la capitalizzazione in borsa di Microsoft sorpasserà quella di IBM.
Quindi, dar forma ad un’architettura che trasformi il prodotto “wow” (quello che determina il vantaggio competitivo citato nella prima regola) in profitti, è la nostra seconda regola.
Saper individuare il modello di business adeguato
Ma è tutt’altro che facile individuare al primo colpo il giusto modello di business nel settore nel quale un’azienda intende operare. Spesso si rende necessario provare, sperimentare, cambiare rapidamente.
A volte basta cambiare un pezzo del modello di business. Se fossimo nell’ambito di una moderna startup, oggi parleremmo di pivot: avendo verificato che qualcosa non funziona in un business model, cambiamo quello specifico elemento critico senza necessariamente riprogettare da zero l’interno modello, ma adeguandolo a quel cambiamento.
Altre volte occorre avere il coraggio di cambiare radicalmente l’intero modello di business. Nulla di nuovo sotto il sole: le aziende di successo hanno sempre dimostrato una straordinaria capacità nel mettersi in discussione.
Si prenda la Coca-Cola. L’azienda nasceva nel 1886 come produttrice di una miscela curativa ideata da un farmacista come rimedio alla stanchezza, per riproporsi dopo circa 30 anni con ben altro successo come produttrice di bevande senza alcuna pretesa farmacologica, ma semplicemente rinfrescanti e dissetanti. Cambiava la proposta di valore nel modello di business, cambiava il segmento di clientela, cambiavano i canali distributivi, quindi, ed entrava in gioco un protagonista rivoluzionario per quegli anni, quello che oggi definiamo il brand.
Un moderno esempio eccellente della capacità di esplorare nuovi modello di business è Netflix, che nasce per fornire DVD tramite il servizio postale in alternativa agli store di Blockbuster, per divenire poi piattaforma distributiva di contenuti TV via streaming e infine produttrice essa stessa di contenuti televisivi.
Interessante in proposito, e si lega bene a questo secondo punto, è il recentissimo concetto di Bamboo Strategy, che spiega che il successo di un’azienda oggi, in un contesto ad alta imprevedibilità e bassa stabilità, è legato alla capacità di esplorare continuamente nuovi business sperimentando nuovi modelli, anche a costo di fallire, purché le “radici” dell’azienda, ovvero le risorse e le competenze strategiche, siano ben solide anzi continuino ad accrescersi.
Terzo: far leva sul trend giusto al momento giusto
L’azienda potrebbe aver dato vita ad un prodotto wow, o mucca viola se preferite. E averlo ben incasellato in un modello di business efficiente ed efficace.
Ma se tutto questo è costruito su un trend che non contribuisce alla crescita, allora abbiamo un fragile castello di carte.
Tutte le aziende vincenti, sia che guardiamo al presente, come Amazon, sia che guardiamo al passato, come Microsoft, o anche ad un passato lontano, come Ford, hanno saputo cavalcare il trend giusto, socioculturale o tecnologico o demografico che sia.
Al contrario di quelle aziende incapace di individuare, interpretare ed agganciare i trend del domani: aziende destinate a rimanere scarsamente innovative, che non possono in alcun modo sperare di prosperare – se non di sopravvivere – sul mercato.
Ma sia chiaro, esiste anche il “problema inverso”.
A volte assistiamo ad aziende che vivono momenti di gloria, anche se c’è qualcosa che non funziona davvero nel prodotto o nel modello di business o nelle strategie in generale. Semplicemente si tratta di aziende che sono al posto giusto al momento giusto. Ma non nel modo giusto.
L’era del Web 1.0 ha visto numerose aziende che hanno goduto di luce riflessa, che hanno semplicemente cavalcato il giusto trend, ma senza costruirvi attorno prodotti, servizi, modelli, strategie, realmente vitali nel lungo periodo. Per fare alcuni nomi “blasonati”, parliamo di AOL piuttosto che di MySpace.
Questo perché le 3 regole citate devono essere rispettate tutte, allo stesso tempo. Ognuna da sola non è sufficiente, perché il successo dell’azienda non supererebbe la dura prova del tempo.
Saper identificare i nuovi trend emergenti
Una capacità preziosa, poi, è quella di apprendere come identificare e far leva sistematicamente sui trend rilevanti, anche al cambiare di questi trend.
Un brillante esempio è Disney che nel corso di quasi un secolo ha saputo far leva sui nuovi trend globali che emergevano di volta in volta: la diffusione del turismo di massa, la penetrazione della televisione nelle famiglie, i cambiamenti culturali nelle nuove generazioni, sino ai più recenti trend legati all’innovazione tecnologica, come lo streaming televisivo.
Capacità che invece non ha saputo dimostrare un’altra storica corporation come Kodak che, se è stata prima maestra nell’agganciarsi a trend tecnologici e culturali importanti (come la crescita della moderna civiltà dell’immagine), è stata poi incredibilmente riluttante nell’abbracciare il nuovo trend della digitalizzazione per non mettere a rischio il suo core business, pagando però un prezzo altissimo.
Ma attenzione: non storciamo troppo il naso davanti a storie come quella di Kodak. Perché nella realtà puntare risorse su un trend al momento giusto, nelle sue fasi iniziali, non è affatto facile.
Significa prendersi dei rischi, e allora occorre disporre di una struttura capace di assorbire i fallimenti, trasformarli in apprendimento per l’organizzazione, e andare avanti. Come oggi sta dimostrando un’azienda come Amazon, strutturata per sperimentare accettando fallimenti ed errori, senza mai intaccare mai il core business.
O infine c’è il caso di quei pionieri che ci hanno visto giusto, ma sono arrivati troppo presto. Quando il trend si fiuta appena, ma non essendoci ancora un vero mercato l’azienda costruisce qualcosa prematuramente, bruciando risorse e aprendo la strada per gli altri. Spesso si dice che il secondo entrante sul mercato ha un vantaggio sul vero pioniere, e un fondo di verità c’è.
Chiedetelo alla Palm (che poi non esiste più, assorbita da tempo dalla Hewlett-Packard), che nel 1997 già lanciava il Palm Pilot, il personal digital assistant che apriva la strada al moderno utilizzo di device tascabili dotati di molteplici funzionalità.
O a Friendster, il social network lanciato in California nel 2002, due anni prima di Facebook, e oggi riconvertito in piattaforma di social gaming con base a Kuala Lumpur.
Conclusione: una ricetta segreta con 3 ingredienti
È chiaro che è semplificativo affermare che il segreto del successo di un’azienda sia legato a queste tre regole. E dove mettiamo allora la cultura aziendale, le giuste strategie di business, la capacità di comunicare col cliente, la propensione all’innovazione, e tanti altri elementi che non possiamo dimenticare?
È vero, ma se guardiamo alle aziende in una dimensione senza tempo, alla fine questi sono i 3 fattori (ovvero le regole) che sono stati davvero critici nel determinare il successo dell’impresa.
Un prodotto o un servizio che miri anche oltre la semplice soddisfazione del cliente, al punto tale da generare per l’azienda un vantaggio competitivo consistente rispetto alla concorrenza, e quindi un posizionamento unico, come una mucca viola in mezzo a mucche tutte uguali tra di loro.
La capacità di produrre quel prodotto o servizio nell’ambito di un modello di business profittevole e capace di garantire la crescita dell’impresa.
E infine costruire tutto ciò sopra un trend destinato a fare da traino.
Se chiamarle regole del successo vi sembra eccessivo, guardatele sotto un diverso punto di vista: 3 ingredienti che non possono mai mancare nella ricetta del successo aziendale, che però poi ha bisogno di tanti altri ingredienti non meno determinanti ma di natura più situazionale, che mutano al mutare del contesto e dell’ambiente.
Quando hai questi 3 fattori, ti stacchi dalla concorrenza (posizionamento), disponi di una macchina che crea valore (modello di business), e metti questa macchina sul binario giusto (trend).
Se vi avesse interessato quanto raccontato sul libro di Tom Peters e Robert Waterman e vuoi saperne di più sulle 8 regole per il successo dell’azienda individuate nella loro storica ricerca, vi segnalo l’ottimo articolo di sintesi “In search of excellence – Summary and Review“.
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