Una preoccupazione per tanti startupper è la preparazione del pitch, ovvero di una presentazione della propria startup che sia finalizzata a stimolare una precisa call to action nell’audience. Una call to action che in genere consiste nel fundraising, ovvero nella raccolta di capitali da investitori quali business angel e società di venture capital, ma anche incubatori e acceleratori, ed è questo il contesto in cui ci muoveremo in questo articolo.
Sia chiaro, tuttavia, che un pitch potrebbe avere altri possibili obiettivi per una startup, come convincere un’azienda a diventare un partner strategico. Oppure, nel caso di un modello business-to-business, conquistare il primo cliente, quello che consentirà di testare il prodotto, generare i primi ricavi apportando così liquidità, ottenere risultati incoraggianti che dimostrino una traction utile per acquisire poi ulteriori clienti o attrarre investitori.
In questo articolo esamineremo insieme le sezioni che non possono mancare in un pitch finalizzato al fundraising, e per ognuno di esse ti mostrerò un esempio concreto, estratto dai deck di alcune startup, più o meno note.
Inoltre, al termine troverai utili link per approfondimenti.
Un modello per il pitch di una startup
Non intendo complicare troppo le cose, ma sappi che anche se ho prima scritto “le sezioni che non possono mancare in un pitch”, in realtà esistono diversi modelli e le sezioni che includono non sono necessariamente identiche, o nella stessa sequenza.
Il noto modello proposto da Sequoia Capital (che approfondiremo tra poco) include ad esempio una sezione “Why no?” che invece non è contemplata in un altro noto modello, quello di Guy Kawasaki, che invece include alcune sezioni che non troverai nel modello Sequoia Capital, come il “Go-to-market”.
Nella realtà non esiste una “bibbia del pitch”, ma appunto modelli che fungono da guideline, dai quali partire ma senza che nulla vieti dare un peso diverso alle diverse sezioni, eliminarne alcune e aggiungerne delle altre, adattando insomma il pitch deck agli obiettivi e al contesto della tua presentazione.
Il modello di startup pitch Sequoia Capital
In ogni caso, il modello Sequoia Capital non può essere ignorato, anche per il nome che ci sta dietro.
Sequoia Capital è infatti una società californiana di investimenti venture capital (VC) che attualmente gestisce asset per un valore di 85 miliardi di dollari. È nata nel lontano 1972, e può essere considerata “la madre del venture capital”, avendo investito nel tempo in società quali Apple, Google, Instagram, Linkedin, PayPal, Zoom, WhatsApp, Zoom, Airbnb, YouTube, e molti altri, nelle loro fasi iniziali.
Insomma, Sequoia Capital è l’investitore dei sogni per ogni startupper, ed è un vero pezzo di storia della Silicon Valley.
Faremo così riferimento al modello ufficiale di Sequoia Capital, nella sua versione, composta da dieci sezioni:
- Company Purpose
- Problem
- Solution
- Why Now?
- Market Potential
- Competition
- Product
- Business Model
- Team
- Financials
Andiamo ora a esaminare insieme ciascuna delle sezioni.
(1) Company Purpose: lo scopo per il quale nasce la startup
Nella maggior parte dei casi il tempo concesso agli startupper per il pitch è di 20 minuti, ma sono tutt’altro che rari i casi in cui ne vengono concessi 10 o anche meno.
Insomma, quando parliamo di pitch, il tempo è davvero denaro!
Considerando poi che la curva di attenzione dell’audience ha una caduta dopo circa dieci minuti, e che spesso le presentazioni avvengono durante eventi in cui si alternano diverse e numerose startup, puoi immaginare quale potrà essere l’effettiva capacità di ascolto da parte della tua audience, soprattutto se non sei collocato all’inizio dell’agenda.
La prima slide quindi deve “bucare”, come se quello fosse l’unico messaggio che resterà nella mente di chi ti ascolta. Si tratta allora di definire con un’unica frase incisiva la tua azienda. E non è facile, perché la tentazione sarà di inserirvi troppe informazioni, mentre qui la regola è “less is more“.
Un ottimo esempio è quello di Youtube:
(2) Problem: il problema da risolvere
Una startup ha senso solo se intende affrontare uno specifico problema del cliente, quello che nel Value Proposition Canvas viene definito persino come “customer’s pain“: il dolore del cliente!
Dunque, qual è il problema? È ben chiaro? Quali sono le attuali soluzioni, evidentemente insoddisfacenti?
Si veda l’esempio di Airbnb, che spiega in poche parole perché gli hotel non sono sempre una risposta ai problemi di chi viaggia:
(3) Solution: la soluzione proposta
Spiega a questo punto la soluzione sulla quale stai costruendo la startup. Perché ritieni che sia unica, innovativa, irresistibile per il cliente?
Ecco, ad esempio, come Airbnb illustra la sua soluzione:
Se può esserti utile e il tempo lo consente, racconta in breve come è nata, quello che potremmo definire il momento eureka, quello in cui si è.… accesa una lampadina in testa ed è nata così l’idea di business.
Queste due sezioni problema/soluzione, che evidentemente sono strettamente connesse tra loro, sono tra quelle sezioni che non possono mai mancare in un pitch.
Una startup nasce per risolvere un problema irrisolto, proponendo così qualcosa di innovativo. Diversamente non è una startup, ma semplicemente una nuova impresa, che è un’altra cosa.
(4) Why now? Perché proprio adesso?
Questo è per molti una delle sezioni del pitch alla quale si dà poca importanza, e spesso è assente nei deck utilizzati.
Perché è così importante spiegare a degli investitori la ragione per la quale è nata ora la nostra startup? Ci possono essere tante ragioni, in fondo: si è trovato un po’ per caso un buon team, o è spuntata l’idea di business un po’ all’improvviso, o ci si è accorti di qualcosa che è stato realizzato all’estero e può essere replicato in Italia, etc.
Il punto vero è che il timing è fondamentale per la sopravvivenza di una startup. Arrivare troppo presto non premia, arrivare troppo tardi riduce le probabilità di successo.
La maggior parte delle startup di successo non sono state affatto pioniere assolute, ma sono arrivate al momento giusto, quando già cominciava a delinearsi un possibile mercato. Non penserai mica che Facebook sia stato il primo social media della storia?!
Per questo è importante spiegare perché proprio adesso è un buon momento, anzi forse il momento perfetto, per dare una risposta ad un problema e intorno a questa risposta creare un’azienda.
Eccoti ad esempio la slide del pitch della startup americana Ledgy che propone una piattaforma per la distribuzione dell’equity tra i dipendenti al fine di incentivarli e migliorarne così le performance. Con dei dati precisi si spiega perché è il momento perfetto per il lancio:
Non è necessario dedicare una vera e propria sezione per dare una risposta alla risposta “Why now?” e – come detto – è piuttosto raro trovare nei pitch una vera e propria slide dedicata.
Ma anche se non utilizzerai una specifica slide, in ogni caso dovrai tenere sempre ben in mente che una parte della tua audience si starà chiedendo “perché proprio adesso“.
Ad esempio, quando parlerai del mercato (è la prossima sezione) potresti far notare quei tassi di crescita del mercato tanto attraenti che si stanno registrando o che si prospettano. Oppure, parlando della soluzione, potresti evidenziare come le soluzioni al problema che sono state applicata sino a oggi sono divenute improvvisamente insoddisfacenti, aprendo così nuovi spazi di mercato.
Se è il caso, chiarisci anche il “perché nessuno lo ha mai fatto prima“: una domanda importante che potrebbe aleggiare in sala in quel momento.
(5) Market potential, quanto è grande il mercato?
È questo il momento in cui va identificato con chiarezza chi è il cliente al quale ci rivolgiamo, e di conseguenza la dimensione del mercato.
La dimensione del mercato è importantissima, perché dà una indicazione (per quanto approssimativa e a rischio di imprecisione) di quale potrebbe essere a sua volta la dimensione del nostro business, elemento di massima importanza per un investitore.
Ora, un punto importante. Nella pratica dei pitch, si sono diffusi da tempo tre acronimi, TAM, SAM, e SOM, che si riferiscono a tre metriche diverse per misurare la dimensione del mercato. È bene conoscerli.
Li vedremo nel caso di una startup europea, Remi, che lo scorso anno presentava ad investitori il suo servizio: una piattaforma digitale che consente a team delocalizzati di lavorare insieme creando anche una comune cultura aziendale nonostante la distanza.
TAM sta per Total Addressable Market, e qui si fa riferimento al mercato nella sua accezione più ampia, anche a livello globale se fossero disponibili dei dati o fossero possibili delle stime.
Nel caso di Remi, viene calcolato che ci sono 142 milioni di persone, tra Stati Uniti ed Europa, che lavorano da casa. Si stima che ciascuno di loro generi dei ricavi annuali per le piattaforme di circa 46 euro all’anno (ARR significa appunto Annual Recurring Revenue, ovvero ricavi annuali ricorrenti).
Viene così stimato un valore di mercato complessivo di 6.5 miliardi di euro (46 moltiplicato per 142 milioni). Ed ecco il TAM, da cui partiamo.
La seconda metrica, da sinistra, è il SAM, ovvero il Serviceable Available Market: quale mercato intendiamo effettivamente servire?
Praticamente mai una startup ha l’ambizione di servire l’intero mercato nella sua accezione più ampia. Ci si può focalizzare solo su certe aree geografiche (es. solo Europa), oppure su un più ristretto segmento di clientela (es. solo fascia alto-spendente), oppure su una specifica categoria di servizi o prodotti (es. solo smartphone con 5G) o di canale distributivo (es. solo per acquisti online).
Remi intende indirizzarsi a utenti che lavorino a distanza in maniera abbastanza sistematica e non sporadica, e quindi fissa come paletto almeno 3 giorni alla settimana. Evidentemente Remi stima che per dei remote worker occasionali le aziende non investirebbero mai in nuove piattaforme, oppure che non trarrebbero un reale beneficio dal loro prodotto.
Si stima così che il mercato vero al quale indirizzarsi (e quindi il SAM) è più contenuto, ovvero di 3.1 miliardi di euro, facendo riferimento a stime proiettate per il 2025.
La terza e ultima metrica, a destra nella slide, è il SOM, che è l’acronimo di Serviceable Obtainable Market, ma secondo alcuni di Share Of Market, quota di mercato. Non è importante, il concetto è identico: quale fetta del mercato al quale ci rivolgiamo (ovvero del SAM) pensiamo di poter conquistare.
Remi calcola di poter raggiungere una quota pari al 3%, vale a dire 93 milioni di euro di ricavi, appunto il SOM.
Quindi, in conclusione: nella slide dedicata alla dimensione del mercato non esitare a utilizzare tutte e tre quelle metriche (TAM, SAM, SOM) quando possibile, e sii sempre pronto a rispondere all’eventuale domanda su come siano stati calcolate quelle stime, in base a quali assumption, e quali siano le fonti dei dati di partenza.
Non dare mai l’impressione che i calcoli siano “spannometrici”, o realizzati senza il supporto di dati dimostrabili, o peggio che le stime siano volutamente manipolate verso l’alto. Meglio essere per quanto possibile specifici, accurati e trasparenti, anche quando ci sono ben pochi dati di mercato reperibili.
(6) Competition / alternatives: la concorrenza
A questo punto, se esiste un mercato, non facciamo finta che non esista concorrenza, diretta o indiretta che sia. Non sarebbe credibile raccontare a potenziali investitori che siamo gli unici al mondo e – se ci pensi bene – il fatto che ci siano dei concorrenti è un buon segno: stiamo parlando di un mercato appetibile, che già attrae investimenti.
Ma non basta elencare i maggiori concorrenti, è importante piuttosto dare un’idea del vantaggio competitivo del nostro posizionamento rispetto ad essi. Perché pensiamo di essere vincenti?
Qui ti farò un paio di esempi tratti questa volta da pitch di startup italiane.
La prima è Air Wins, piattaforma per la commercializzazione di vini DTC (direct to consumer), che mostra i competitor e si confronta con essi per ciascuno dei fattori strategici più rilevanti.
La seconda è Foodu, startup che propone una piattaforma B2C (business to consumer) per la vendita di prodotti alimentari bio, nella quale l’assortimento non è deciso da un ufficio acquisti ma da un modello partecipativo per il quale le proposte di cosa inserire nel catalogo partono dagli stessi consumatori-utenti.
In questo pitch, la startup ha adottato un altro schema molto diffuso, più “visivo” e intuitivo, nel quale il confronto non avviene su una molteplicità di fattori ma su solo due fattori strategici principali, sui quali si costruisce una mappa 2D di posizionamento:
(7) Business model: il modello di business della startup
Come “sta in piedi” la nostra startup? In che modo genera ricavi?
È doverosa una precisazione. Il concetto di modello di business è abbastanza complesso, in quanto prende in considerazione non solo l’aspetto ‘ricavi’, ma anche: chi è il cliente, quale proposta di valore creo per il cliente, come lo raggiungo, tramite quali canali gli vendo il prodotto, con quale modalità monetizzo il prodotto, ma anche i costi da sostenere, le risorse e le attività necessarie per la produzione e la distribuzione, le partnership strategiche.
Insomma, l’intera logica sulla quale è costruito il business di un’azienda, e che le consente di far funzionare l’equazione del profitto: ricavi che superino i costi generando un profitto.
Ed infatti esiste un template strategico piuttosto articolato, il Business Model Canvas, proprio per sintetizzare un concetto così complesso e vederne nell’insieme i vari elementi che lo costituiscono.
Ma nel caso dei pitch di startup non si affronta mai tale complessità (ricorda: la priorità è il time management!), ma ci si limita a focalizzarsi sulla sola monetizzazione del prodotto e del servizio, possibilmente supportando il concetto con delle cifre.
Un esempio?
Prendiamo Buffer, la soluzione che consente di programmare in anticipo in un calendario il lancio di post sui social media.
In una sola slide non viene fatta vedere la complessità della monetizzazione, ma comunque la si spiega, collegandole a delle key metrics:
Il calcolo si basa sull’ipotesi (idealmente dimostrata dai test effettuati) che il 2% degli utenti free si converta ad un piano premium. Che il churn rate sia del 5% ovvero che il 5% delle sottoscrizioni a pagamento non sia rinnovato. Che il Lifetime Value (LTV), ovvero i ricavi generati nel tempo da ciascun utente premium, sia di 240 dollari. E che il CAC (il costo per acquisire un cliente) sia di 5 dollari.
Risultato, facendo girare i numeri: raggiungendo un milione di utenti, si generano ricavi per 3.6 milioni di dollari.
Come vedi, ciò che conta è far vedere come si costruiscono i ricavi, senza arrivare a rappresentare in una chart l’intero modello di business nel suo complesso. Che ovviamente dovrai comunque avere ben chiaro in mente!
A volte, però, può divenire opportuno focalizzarsi sullo spiegare un po’ più in dettaglio il funzionamento del modello di business, quando è un po’ meno intuitivo. Senza necessariamente spiegare aritmeticamente la formazione dei ricavi, come abbiamo visto per Buffer.
È il caso di GoCamera, startup italiana che propone una piattaforma digitale per il mercato della fotografia piuttosto articolata in quanto mette in contatto molteplici attori di mercato: distributori, brand, fotografi professionisti, appassionati di fotografia. Ecco come presenta il modello di business:
(8) Team, ciò che davvero fa la differenza
Pur essendo una informazione non quantitativa, è una delle sezioni del pitch più importanti. Perché puoi avere la migliore idea di business del mondo, puoi cavalcare il trend di mercato giusto al momento giusto, ma se il team è inadeguato la startup non avrà alcuna possibilità di sopravvivenza.
Fai vedere in una slide il team che pilota la startup. E ricorda che non hai bisogno di riportare per ciascuno dei membri del team l’intero curriculum: bastano quei pochi bullet point, per i quali sia evidente che i loro studi e le loro esperienze sono in linea con le sfide che si pone la startup.
Ad esempio, nel caso di YouTube, i founder erano giovani, con poche esperienze (in Paypal) ma quelle giuste:
(9) Financials, i numeri contano
Qui occorre muoversi con misura. Un pitch non è un business plan dettagliato, e non c’è tempo per esaminare in dettaglio i dati finanziari che fotografano la situazione attuale e quella attesa per i prossimi anni.
Però occorre mostrare come quanto è stato sino a quel momento illustrato durante il pitch si traduce, nei conti economici, in fatturato e margini di profitto, perché gli investitori vogliono in quei pochi minuti farsi una prima idea del valore del business sottostante.
Prendiamo il caso di Wetaxi, startup italiana che propone una app con la quale chiamare un taxi, con una tariffa massima garantita a vantaggio del cliente.
Come vedi, si mostra semplicemente una proiezione finanziaria che copre un quinquennio, nel quale vi vede il volume del “transato” (il fatturato dei tassisti per le corse), le Revenue (ricavi), ovvero la share di quel transato che entra nelle casse della startup, l’EBITDA (una delle metriche più diffuse per la marginalità del business), e infine il Cash Flow, ovvero il saldo dei flussi di cassa.
(10) Vision, il futuro che vogliamo per la nostra startup
Dove vorremmo vedere la nostra startup tra 5 anni? Quale innovazione ci aspettiamo che porti sul mercato?
Nella pratica, è raro che nel pitch appaia una slide specifica, anche perché certamente questa vision avrà un po’ attraversato tutto il nostro storytelling durante la presentazione.
Ma nulla di male se vorrai esplicitarla in fase finale, soprattutto se ti servirà a rafforzare la call to action (di solito l’investimento nella startup) condividendo con chi ti ascolta un sogno che intendi realizzare.
Un esempio è quello del pitch della startup Ooomf (poi ribattezzata Crew) che proponeva una piattaforma per agevolare l’incontro tra domanda e offerta nel mercato delle competenze nel web e nel mobile, ed esplicitava così la sua vision:
I pitch nella realtà
Quello che abbiamo visto insieme è uno specifico modello che è un sicuro punto di partenza, ma credo che ti sia ben chiaro che poi, caso per caso, viene adattato. A volte si dà maggiore enfasi ad alcune sezioni dedicandovi più di una slide, a volte alcune sezioni sono ritenute superflue (vision, o why now), a volte l’ordine diventa diverso (ad esempio, la vision viene posta all’inizio e non alla fine).
E soprattutto, vi sono ulteriori sezioni, non contemplate nel modello Sequoia Capital, che appaiono.
Un modello molto noto e alternativo, ad esempio, è quello proposto dal Guy Kawasaki, celebre investitore e chief-evangelist in passato di Apple e oggi di Canva. Del quale parleremo in un prossimo articolo.
Il modello propone di esplicitare la Value Proposition, il piano di Go-to-market, e persino Underlying Magic, ovvero il trucco segreto per il quale pensiamo che la nostra startup possa emergere dalla concorrenza (ad esempio, un vantaggio in termini di tecnologia adottata, un brevetto, etc.).
E al di là del modello adottato, sentiti libero di inserire sezioni che possono essere rilevanti. Potrebbe essere opportuno inserire una slide per la Traction, divulgando alcune metriche che dimostrino che il business si sta avviando felicemente e con ottime prospettive, oppure per la Roadmap, mostrando le fasi chiave di sviluppo della startup previste per i prossimi anni (ingresso in mercati esteri, lancio di una nuova piattaforma, etc.).
Spesso sarà necessario esplicitare l’entità del capitale che si intende raccogliere e come si intende utilizzarla, in una vera e propria slide Call to Action.
Nel caso di crowdfunding – ovvero di reperimento di capitali tra un ampio numero di micro-investitori – è importante esplicitare il “gettone” che stiamo chiedendo, perché non si può entrare in negoziazione con ciascuno di questi micro-investitori, data la frammentazione.
Un esempio è quello della startup italiana Dove.it, agenzia immobiliare digitale, che illustra per il suo crowdfunding il prezzo per ogni specifica categoria di quote, e i diritti connessi:
Insomma, una volta che hai ben chiaro l’outcome desiderato per il tuo pitch, questo fungerà da bussola per le tue decisioni di come modificare opportunamente il modello. Ma ricorda sempre che il tempo è tiranno.
Time management, quindi, e chiarezza espositiva: questi saranno i tuoi due driver durante la presentazione.
Lo stesso Kawasaki prima citato, per darti un’idea, caldeggia il rispetto di tre semplici regole, note come “10/20/30 Rule“:
- Il pitch dovrebbe essere composto idealmente da solo 10 slide (e mai più di 15)
- La presentazione non dovrebbe mai durare oltre 20 minuti
- Il font utilizzato dovrebbe essere facilmente leggibile, con un ‘size’ mai inferiore a 30 punti.
Avrai ormai capito che poi, in pratica, regole assolute non ne esistono, e se ritieni di aver bisogno di 20 slide e sei certo di poterle presentare senza ansia nel tempo concesso, procedi pure.
Ma se anche un personaggio del calibro di Guy Kawasaki ti fa notare che semplicità e brevità sono fondamentali, per conquistare quella che è la risorsa scarsa che è l’attenzione, rifletti bene prima di appesantire il pitch deck.
Se davvero esiste una regola assoluta, nel pitch, è che “less is more“.
Per approfondimenti
Sul sito piktochart potrai trovare numerosi esempi di pitch di note startup, che potranno fungerti da ispirazione.
Per vedere invece esempi tratti da startup del nostro paese, può essere utile guardare ai pitch pubblicati nei principali siti di crowdfunding italiani, e in particolare ti segnalo Mamacrowd andando a guardare alla voce “Documenti” di ogni startup, dove troverai sempre il pitch deck.
In rete è presente un numero immenso di articoli sui pitch delle startup, a volte di qualità discutibile, ed è facile smarrirsi. Un articolo che apprezzo particolarmente per la concretezza dei suggerimenti, e che non esito a segnalarti, è quello scritto da Martin Jones.
Tra i libri, anche questi numerosi, ti segnalo volentieri “Startup pitch” di Maurizio La Cava.
Infine, puoi avere un’ottima opportunità di assistere online a degli startup pitch in diretta registrandoti ad uno dei vari eventi organizzati dall’incubatore Startup Geeks.
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