Il fumetto è un mezzo di comunicazione tutt’oggi popolare e che ha – come vedremo – radici antiche. Sebbene abbia alle spalle oltre un secolo di vita, intorno ad esso continua a svilupparsi un mercato dinamico, persino in crescita negli ultimi anni, capace di guardare al futuro e di appassionare lettori appartenenti a più generazioni.
Ma è possibile fissare una data precisa che segni la nascita della nona arte (come alcuni studiosi francesi definirono negli anni Sessanta il fumetto, comprendendone la profonda portata culturale)?
Come vedrete la risposta non è affatto semplice, e in larga parte dipende dalla definizione stessa di fumetto.
E anche una definizione di cosa sia il fumetto non è semplice, e le posizioni dei maggiori studiosi non sono sempre allineate.
La preistoria del fumetto: il proto-fumetto
Se per fumetto intendessimo in maniera estremamente ampia una narrazione tramite immagini, potremmo affermare che risale alla notte dei tempi.
Probabilmente persino alcuni graffiti rupestri potrebbero essere inquadrati come fumetto, trattandosi di narrazione visiva, tipicamente di scene di caccia.
Ma un elemento fondamentale che non stiamo considerando è la sequenzialità, che contraddistingue il fumetto. Il fumetto non è mai una rappresentazione statica, come una fotografia.
Non a caso il cartoonist newyorkese Will Eisner (1917 – 2005), uno dei più massimi autori di fumetto che la storia ricordi, scrisse un celebre saggio sul fumetto nel quale lo definiva appunto come “sequential art“.
E narrazioni tramite sequenze di immagini si possono trovare già nella storia antica. Il più celebre esempio è rappresentato dalla Colonna Traiana, costruita nel 113 d.C.: un monumento alto quasi 40 metri, tuttora visibile a Roma, eretto per celebrare le vittorie militari dell’imperatore Traiano nella sua campagna per la conquista della Dacia.
Intorno alla colonna e incisa su di essa si sviluppa una serie di scene, dando vita ad una vera e propria narrazione sequenziale.
Gli studiosi hanno identificato ulteriori esempi di narrazioni tramite immagini in sequenza, che spaziano dall’antico Egitto al medioevo, quando delle storie – spesso a sfondo religioso – venivano rappresentate in forma sequenziale su manoscritti, arazzi, miniature, pergamene.
Ma non siamo ancora davanti al fumetto; infatti ci manca ancora un altro importante elemento per definire il fumetto, ovvero il… fumetto stesso! No, non è un gioco di parole.
Alle origini della storia del fumetto: la comparsa del balloon
Ciò che infatti contraddistingue il fumetto, oltre ad essere una narrazione tramite scene sequenziali, è la presenza di quelli che in inglese sono chiamati balloon, che letteralmente potremmo tradurre come palloncini. Ci riferiamo a quegli spazi solitamente tondeggianti, inseriti nelle vignette per contenere i dialoghi dei personaggi raffigurati.
Quelli che in italiano vengono chiamati, facendo un po’ di confusione, appunto ‘fumetti’, un po’ come se del fumo contenente delle parole uscisse dalla bocca dei personaggi.
I balloon sono diventati una vera e propria icona, fortemente ricollegata alla “nona arte”, al punto che guardandone la classica forma ciascuno di noi intuisce con immediatezza il riferimento.
Ma anche questo ulteriore elemento non aiuta, nel chiarire cosa sia il fumetto nella sua completezza, e quindi a fissare una data precisa per le origini del fumetto.
Infatti non sono mancati gli studiosi che hanno rintracciato nei secoli passati alcuni esempi di immagini che contenevano delle forme rudimentali dei futuri balloon.
Magari più che balloon apparivano sotto forma di strisce, come dei rotoli che si svolgevano partendo dalla bocca dei soggetti rappresentati. Si osservi ad esempio questo quadro di inizio 1500 raffigurante Sant’Anna e l’Angelo del pittore tedesco Bernhard Strigel.
E’ un fumetto? No, non c’è alcuna sequenzialità. Però c’è in forma embrionale l’idea del balloon.
Un sorprendente esempio che si avvicina notevolmente a quello che oggi abbiamo in mente quando si parla di fumetto si può trovare in alcune opere dell’illustratore inglese Francis Barlow, vissuto nel XVII secolo.
Guardate questa sua stampa d’epoca, intitolata “A True Narrative of the Horrid Hellish Popish Plot“, che narra di una cospirazione dei cattolici ai danni di re inglese Carlo II (cospirazione in realtà mai storicamente avvenuta).
Ci sono immagini sequenziali, ci sono dei balloon… possiamo dire di essere davanti a un primo esempio di fumetto compiuto?
Si e no. Diciamo che ci siamo, quasi.
In realtà, quando si parla di fumetto, vi è un terzo elemento importante, oltre alla sequenzialità delle immagini e alla presenza dei balloon. Un elemento non di natura narrativa o grafica, non legato alla forma. Spieghiamolo bene.
Ciò che contraddistingue il fumetto è il fatto che sia non solo un linguaggio, ma anche un mezzo di comunicazione vero e proprio, capace di raggiungere un ampio pubblico. Questo aspetto lega indissolubilmente il fumetto alla stampa su scala industriale.
Questa caratteristica del fumetto, che potremmo definire replicabilità, è meno tangibile ma – se ci pensate bene – tutt’altro che secondario. Una pergamena, un arazzo, un libro miniato, una stampa riprodotta in un numero limitato di copie, anche quando contengono sequenze di scene con dei dialoghi inclusi in forme rudimentali di balloon, mancano del tutto della capacità di raggiungere dei lettori tramite la diffusione di un numero elevato di copie.
E non possono più essere riprodotti nuovamente, in altre parole ‘ristampati’, in futuro.
La vera nascita del fumetto è inevitabilmente collegata alla diffusione dei giornali avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento.
Max e Moritz, i primi personaggi a fumetti… quando il fumetto ancora non c’era
Nel XIX erano ormai facile trovare, nei giornali e soprattutto in Gran Bretagna, vignette in sequenza, quasi sempre di contenuto satirico. E’ in questo secolo che prende forma il fumetto così come oggi lo conosciamo, ma accade in maniera graduale, nel corso della seconda metà del secolo.
Una momento importante di questo processo si verifica non negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, ma in Germania. Dove a partire dal 1865 l’illustratore e poeta Heinrich Christian Wilhelm Busch realizza per il giornale umoristico Fliegende Blätter una serie di sette storie illustrate dal gusto che oggi definiremmo ‘dark humour’, che vedono come protagonisti Max e Moritz, una coppia di bambini tutt’altro che teneri e innocenti.
Il terribile duo è infatti dedito ad atroci scherzi, quali spingere il sarto del paese in un ruscello ghiacciato, inserire polvere da sparo nella pipa del maestro, rubare i polli dal forno di una innocente vedova (sotto).
Le avventure di Max e Moritz si concludono in maniera macabra: nella settima ed ultima storia i due, introdottisi di nascosto nel laboratorio del fornaio, finiscono macinati, impastati, cotti, e infine sbriciolati e dati in pasto alle anatre. Finale con una sua morale, evidentemente, condita con quello humour un po’ crudele che piaceva tanto nella Germania di oltre 150 anni fa.
Non si tratta ancora di fumetto, sono del tutto assenti i balloon. E tuttavia non sono mancati storici del fumetto come l’italiano B. Palmiro Boschesi che ha definito, nel suo popolare “Manuale dei fumetti”, le storie di Max e Moritz come “prime autentiche storie a fumetti del mondo“.
Le origini del fumetto: il XIX secolo e la diffusione della stampa
Nella seconda metà dell’Ottocento diventavano via via più frequenti, sui quotidiani americani e britannici e in particolare sulle uscite domenicali, storie illustrate sia pur prive di balloon.
Il primo, cronologicamente, fu il personaggio di Ally Sloper, che debuttò all’interno nelle pagine di un giornale satirico inglese nel 1867 (quindi pochi anni dopo Max e Moritz) e che diede vita nel 1884 ad un periodico (“Ally Sloper’s Half Holiday”), interamente dedicato al personaggio.
Questo periodico di successo (la cui diffusione toccò le 350.000 copie) viene da alcuni considerato il primo comic magazine della storia.
Nelle sue storie non c’era però ancora traccia di balloon: come sempre le vignette erano ancora accompagnate da testo inserito in semplici didascalie.
Yellow Kid, il primo fumetto nella storia?
E siamo arrivati così al 1894, quando cominciano ad apparire sulla rivista Truth delle strisce umoristiche che vedevano come protagonista un ragazzino, di nome Mickey Dugan, più noto come Yellow Kid. Dopo pochi mesi le strisce si trasferirono sulle tavole domenicali del New York World.
L’autore delle strisce era il cartoonist Richard Felton Outcault che si è così guadagnato un posto nella storia del fumetto. Un ampio numero di storici del fumetto è infatti concorde nell’affermare che Yellow Kid rappresenti il primo fumetto vero e proprio della storia, e si potrebbe persino identificare un giorno preciso che ne segnala la nascita, come tra poco vedremo.
Chi è Mickey Dugan, alias Yellow Kid?
Era un bambino (forse di origini irlandesi, ma dai tratti asiatici), del tutto calvo, vestito solo con un buffo camicione che dopo alcuni numeri del giornale assunse il caratteristico colore giallo – ed ecco il soprannome del personaggio – e che vive per le strade del misero quartiere di Hogan’s Alley, alla periferia di New York.
L’intento delle storie era mostrare ai raffinati lettori del New York World (il cui editore era Joseph Pulitzer, esatto, quel Pulitzer a cui è dedicato il più prestigioso premio giornalistico al mondo) le condizioni di vita nei quartieri più poveri e multietnici di New York. Insomma, un misto tra umorismo e denuncia sociale.
Un esempio delle storie create da Outcault? L’arrivo dell’accalappiani a Hogan’s Alley diventa motivo di grande divertimento per i ragazzini del posto, e l’accalappiacani finisce inevitabilmente assalito dai monelli e dai cani a sassate, bastonate e morsi. Oppure la gita al mare dei poveri residenti di Hogan’s Alley, che si ritrovano su una squallida spiaggia tormentati dalle onde.
Nel 1896 Yellow Kid “traslocò” nuovamente, su un altro celebre quotidiano, il New York Journal, dell’altro leggendario editore del tempo, William Randolph Hearst (lo stesso giornale che aveva lanciato i “The Katzenjammer Kids”).
Nelle primissime storie Yellow Kid era raffigurato in vignette prive di balloon, e al più le frasi del personaggio principale apparivano bizzarramente sul suo camicione giallo.
Ma il 25 ottobre del 1896 accade qualcosa di nuovo, un vero punto di svolta. Nella storia pubblicata sul New York Journal, Yellow Kid parla con un grammofono a manovella che sorprendentemente sembra rispondergli risponde, ma poi si scopre che si trattava di un pappagallo nascosto sotto l’altoparlante.
La novità è che per la prima volta le frasi pronunciate da Yellow Kid (e anche dal grammofono) non appaiono in didascalie o sul suo camicione, ma all’imterno di balloon.
Con Yellow Kid si integrano finalmente tutti gli elementi del fumetto così come oggi lo intendiamo: una narrazione tramite una sequenza di immagini, dialoghi espressi per mezzo di balloon, e un’ampia diffusione di copie che ne fa un vero e proprio media.
Yellow Kid non riscosse tuttavia un successo soddisfacente, e già nel 1898 la sua pubblicazione ebbe termine. Ma incontreremo presto il suo autore, Oucault, per un altro personaggio a fumetti a cui diede vita, e che incontrò invece un successo duraturo.
Intanto la diffusione di fumetto, sempre più frequentemente corredato da balloon, era ormai avviata. Un po’ tutti i maggiori quotidiani statunitensi si popolarono via via, a partire dalla fine del XIX secolo, di colorate tavole domenicali con sempre nuovi personaggi.
Era iniziata quella che gli storici del fumetto chiamano l’era classica del fumetto americano. Scopriamo allora i maggiori protagonisti di quel periodo pionieristico.
I monelli dell’era classica del fumetto americano
Ricordate i due monelli tedeschi Max e Moritz? Alcuni anni dopo, esattamente nel 1897, apparve negli Stati Uniti una serie a fumetti chiaramente ispirata al temibile duo. Max, dai capelli neri, divenne Hans, e il biondino Moritz divenne Fritz. Un po’ una versione americanizzata e modernizzata, senza perdere però del tutto le radici tedesche.
Hans e Fritz erano due fratellini, figli di un immigrato tedesco (che non compare mai nelle storie) e adottati dalla famiglia di un vecchio lupo di mare, “il Capitano”. Hans e Fritz erano protagonisti delle strisce a fumetti intitolate “The Katzenjammer Kids“, create da un giovanissimo cartoonist, il diciannovenne Rudolph Dirks, per il supplemento domenicale del quotidiano New York Journal.
Inizialmente non v’era alcuna traccia dei balloon, ma ben presto le didascalie furono sostituite dai balloon dando vita per la prima volta a quanto di più simile al fumetto moderno come oggi lo intendiamo.
Il successo dei Katzenjammer Kids fu ben più duraturo di Yellow Kid, infatti le storie apparvero sino al 1949, e furono ripubblicate anche in Italia, come Bibì e Bibò (a partire dal 1912 sul leggendario Corriere dei Piccoli).
Ricordate Outcault, il “papà” di Yellow Kid? La serie del ragazzino dal camicione giallo ebbe vita breve, pur essendo stata una pietra miliare della storia del fumetto. Ma Outcault non si arrese e si dedicò immediatamente ad un nuovo personaggio, Buster Brown, ispirato al giovanissimo ma già popolare attore comico Buster Keaton.
La pubblicazione iniziò nel 1902 per durare quasi un ventennio, quindi con maggiore fortuna del “predecessore”, Yellow Kid.E nel 1908 il primo numero del Corriere dei Piccoli, il periodico che aprì il mercato italiano al fumetto, riportava in prima pagina una tavola col Buster Brown, ribattezzato come Mimmo.
Little Nemo, quando il fumetto si fa arte
Si noti che anche Buster Brown era il classico monello, come lo erano i Katzenjammer Kids, come lo era Yellow Kid: i primi anni del fumetto sembrano costellati da ragazzini terribili, facile materiale per creare gag umoristiche adatte all’ampio pubblico di lettori di quotidiani in quegli anni.
Incontriamo ora un personaggio, anch’egli un ragazzino, ma del tutto differente, e protagonista di storie ben più sofisticate e con un stile di disegno di alto livello artistico. Parliamo di Little Nemo.
Un immediato successo accolse nel 1905 questo nuovo personaggio apparso sulle pagine del New York Herald.
Era stato creato e disegnato da Winsor McCay (1869 – 1934), geniale cartoonist americano, un vero e proprio pioniere e non solo nel fumetto. Se un giorno dovessi accompagnarvi in un altro articolo alla scoperta delle origini dei cinema d’animazione, ritrovereste il nome di Winsor McCay tra i pionieri del cartone animato e più in generale del cinema stesso.
Ma torniamo al nostro piccolo protagonista.
Nemo, attraverso i suoi sogni, vive ogni notte avventure straordinarie nel regno di Slumberland, dove viene ogni volta portato – anche contro la sua volontà – per ordine del re di Slumberland, la cui figlia è disperata in quanto perdutamente innamorata del ragazzino.
Celebre è la pagina in cui, mentre dorme, al suo lettino si allungano smisuratamente le gambe e si ritrova così su un bizzarro letto ambulante trasportato nuovamente nell’onirico regno di Slumberland.
Nei suoi sogni è protagonista di avventure straordinarie, e vive a volte esperienze meravigliose, più spesso veri e propri incubi, dai quali si salva sistematicamente risvegliandosi al mattino, ancora scosso.
Il fumetto ebbe però vita breve: dopo il successo iniziale, i lettori persero rapidamente interesse e dopo nove anni la serie venne prematuramente interrotta.
La genialità di Winsor McCay, il contesto surreale in cui si muoveva il personaggio, l’umorismo sofisticato, il fatto che l’autore non si attenesse alla classica griglia da dodici vignette che caratterizzava in quel tempo il fumetto nelle tavole domenicali: tanti sono i fattori che fecero di Little Nemo un fumetto in anticipo sui tempi, e quindi difficile da appezzare per un pubblico così ampio come quello dei lettori dei quotidiani del tempo.
Ma giustamente Franco Restano, professore di filosofia all’Universitò di Tor Vergata e cultore del fumetto, nel suo saggio “Storia del fumetto”,spiega che: “oggi Little Nemo è considerato uno dei più grandi fumetti della storia […] ed è noto in tutto il mondo come uno dei più suggestivi, inquietanti, affascinanti prodotti di quest’arte.”.
Verso l’era d’oro del fumetto
L’era classica del fumetto americano vide la comparsa di numerosi personaggi. Tra tutti, ci limitiamo a citare Happy Hooligan (1900), noto in Italia come Fortunello, la coppia protagonista di “Bringing up Father” (1913) che divenne nota nel nostro paese come Arcibaldo e Petronilla, e il fumetto di Krazy Kat (1913), una romantica gatta invano innamorata del beffardo topo Ignatz (nell’immagine pricnipale dell’articolo).
Nel 1918 si concluse l’era classica del fumetto ed ebbe inizio la “golden age”, quella splendida stagione del fumetto americano che durò sino agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, e che vide la nascita di personaggi che hanno davvero fatto la storia del fumetto: Popeye, Flash Gordon, Lil’Abner, Mandrake, Dick Tracy, Blondie, Betty Boop per citarne solo alcuni.
Senza dimenticare i paperi e topi di Walt Disney, tuttora popolarissimi nel mercato del fumetto; sotto, la prima apparizione di Mickey Mouse in una striscia a fumetti datata 1930, nella quale il protagonista sogna di emulare le imprese dell’eroe nazionale del tempo, l’aviatore Charles Lindbergh.
Ma ormai, come avrete capito, il fumetto era una forma di narrazione estremamente popolare, destinata a dar vita a tanti altri personaggi e storie nei decenni a venire. Più interessante è tornare un attimo alla definizione di fumetto.
Cosa è il fumetto, allora?
Il cartoonist americano Will Eisner, prima citato, diede un paio di definizioni nelle quali si ritrovano tutti gli elementi che contraddistinguono il fumetto e che abbiamo via via incontrato analizzandone le sue origini.
La prima, che riportiamo volutamente senza tradurla, è: “the printed arrangement of art and balloons in sequence“.
La seconda, espressa successivamente da Eisner e un po’ più articolata, è quella di sequential art (arte sequenziale) e più in dettaglio “the arrangement of pictures or images and words to narrate a story or dramatize an idea.”
Ecco allora i vari elementi: una narrazione tramite immagini sequenziali, la riproducibilità data dalla stampa (“printed arrangement”), la presenza insieme alle immagini di testi. Da notare però che nella prima definizione Eisner cita espressamente i balloon, a differenza di quella successiva.
Ma allora il balloon è o no un elemento tassativo per poter identificare il fumetto?
Difficile dirlo. Le vignette delle storie di diversi personaggi (il Signor Bonaventura, Sor Pampurio, Fortunello) pubblicate del nostrano Corriere dei Piccoli non contenevano balloon bensì didascalie, anche se la presenza dei balloon non era più un’eccezione nel fumetto. Eppure ci risulta difficile non definirle come fumetto.
Se il balloon allora non fosse un elemento realmente vincolante, allora dovremmo retrodatare la nascita del fumetto ben prima di Yellow Kid, visto che già da tempo circolavano sui quotidiani britannici storie sequenziali con veri e propri personaggi e con semplici didascalie (pensate all’Ally Sloper del 1867 citato in precedenza).
Fissare una precisa data di inizio è un esercizio piuttosto artificioso, in quanto siamo di fronte ad un’evoluzione graduale, poco lineare e a volte anche confusa. Se Yellow Kid ha rappresentato indubbiamente un importante momento nello sviluppo della “nona arte”, definirlo come il primo fumetto della storia significa ignorare quella non-linearità propria di ogni forma di espressione artistica dell’uomo.
Nota
Quest’articolo è dedicato a Luca Boschi, giornalista, scrittore, uno dei massimi storici del fumetto a livello internazionale, purtroppo prematuramente scomparso nel maggio dello scorso anno. Ho avuto modo di apprezzare Luca non solo come profondo cultore della “nona arte” e genuino appassionato del fumetto disneyano, ma anche umanamente.
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