I modelli delle strategie di business

Esistono diversi modelli per codificare le strategie di business messe in atto dalle aziende.

In un precedente articolo avevamo già esaminato il modello suggerito dal Boston Consulting Group, e racchiuso nella popolare Matrice BCG, che suggerisce possibili strategie partendo da due variabili fondamentali: prospettive di crescita del mercato e quota di mercato dell’azienda [“La matrice BCG per le strategie di business“]

In un altro articolo avevamo invece scoperto il modello proposto dall’accademico Igor Ansoff, che costruisce strategie giocando sulle possibili combinazioni tra mercati, esistenti o nuovi, e prodotti, esistenti o nuovi [“La Matrice di Ansoff e il caso Coca-Cola“].

Ma per chiunque voglia conoscere meglio l’affascinante mondo della strategia di business, non può assolutamente mancare il modello proposto da Michael Porter.

È noto come “generic strategies” (strategia generiche), pessima espressione che non rende merito al fondamentale contributo dato dal Porter alla scienza della business strategy.

Ma chi è Michael Porter?

 

 

Chi è Michael Porter

È un economista statunitense, nato nel 1947. È attualmente professore presso la Harvard Business School dove è a capo dell’Institute for Strategy and Competitiveness. Stiamo parlando di uno dei giganti dello sviluppo teorico della business strategy.

Il leitmotif della sua carriera è stato la ricerca di una risposta ad una domanda: cosa determina un vantaggio competitivo per l’impresa?

Un tema di assoluta centralità in un’economia di libero mercato. Significa chiedersi come un’azienda ha successo nel mercato. Un po’ come per un filosofo chiedersi quale sia il senso dell’esistenza.

Con la differenza che il Porter è riuscito a individuare delle risposte, ed ecco lo sviluppo del concetto di vantaggio competitivo al quale si lega strettamente la teoria delle generic strategies.

Concetto centrale nel suo libro del 1985 “Competitive advantage“, nel quale illustra il conseguente modello delle “strategie generiche”.

Ma Porter non è solo a questo. Oltre che per le strategie generiche, resterà alla storia per le “5 forze di Porter”, teorizzate nel 1982, e per la “catena di valore”, concetto teorizzato nel 1985.

Concetti importantissimi, dei quali prima o poi sarà il caso di parlarne.

 

Cos’è il vantaggio competitivo?

Nella visione di Michael Porter l’impresa, nel costruire la propria strategia di business, deve innanzi tutto identificare il vantaggio competitivo sul quale intende basare la propria strategia.

Ma cos’è un vantaggio competitivo?

È quell’elemento che consente all’impresa, nel lungo termine, di raggiungere performance superiori a quelle dei propri concorrenti. In poche parole, è quella “cosa” grazie alla quale un’impresa dimostra sul mercato di essere più brava delle altre. E questa “cosa”, questo vantaggio competitivo, secondo Porter, può essere classificata in una delle 3 possibili categorie.

 

 

Vantaggio competitivo di costo: strategia di leadership di costo

In ogni mercato c’è sempre un segmento di clientela che farà la sua scelta d’acquisto di un prodotto o di un servizio basandosi principalmente sul prezzo.

Per questa ragione troveremo sempre aziende che punteranno ad avere una struttura di costi più efficiente, in modo da puntare ad un vantaggio competitivo di costo e perseguire quella che Porter definisce strategia di leadership di costo.

Avete presente le compagnie low-cost nel settore dei voli turistici aerei? Ecco, Ryanair o Easyjet sono le classiche aziende che schiacciano al minimo i costi, tagliando quelli non necessari ma comunque preservando un minimo livello qualitativo per il cliente. aggrediscono così il mercato, facendo leva unicamente sul prezzo. Un classico esempio di strategia di leadership di costo.

E in ogni settore troverete la sua “Ryanair”. Telefonia mobile? Xiaomi. Retail? Lidl. Automobili? Dacia. E così via.

Pensate a qualunque settore, e identificherete quasi immediatamente quell’azienda che si gioca la sua partita strategica su un vantaggio competitivo di costi.

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Ryanair, Xiaomi, Lidl e Dacia: 4 esempi di eccellente strategia di leadership di costo

 

Un’arma a doppio taglio

Facile come strategia? Certo. Ma solo nel breve termine.

Ne sanno qualcosa tantissime aziende cinesi che decenni addietro avevano aggredito il mercato globale in tanti settori industriali proprio con strategie di puro prezzo.

Sfruttando un vantaggio competitivo totalmente costruito sul bassissimo costo del lavoro. Salvo poi un giorno scoprire che questo gioco strategico poteva essere riproposto, e in maniera ancora più aggressiva, da aziende della Cambogia e del Vietnam.

Il limite di una strategia di costo è proprio questo: non può durare all’infinito. Perché è un vantaggio competitivo che non può durare all’infinito. Prima o poi troviamo qualcuno che propone il nostro stesso prodotto a un prezzo ancora più aggressivo.

Non solo: potremmo anche scoprire che è stata proprio la nostra strategia aggressiva sul prezzo a stimolare i nostri competitor verso strategie ancora più aggressive, scatenando in sostanza una guerra dei prezzi che logora la marginalità dell’intero settore.

Insomma, è un vantaggio competitivo che si può facilmente dimostrare un’arma a doppio taglio. Andiamo allora a scoprire l’alternativa proposta dal Porter.

 

 

Vantaggio competitivo di valore: strategia di differenziazione

Qui la logica è del tutto apposta rispetto alla precedente. L’azienda ricerca un vantaggio competitivo nel quale incrementa il valore del prodotto o del servizio, rendendolo nettamente distinguibile dalla concorrenza.

Attua quindi una strategia di differenziazione, Una strategia in cui la comunicazione gioca un ruolo di primo piano. In sostanza l’azienda sviluppa un prodotto che sia percepibile come “superiore” rispetto a quello proposto dalle altre aziende, comunica al mercato questa differenza, e per questa differenza fa pagare un premium price.

Lo avrete capito: qui siamo nel regno del brand.

 

Nel regno del brand

Cosa meglio del brand esprime una value proposition che merita un prezzo più alto? È chiaro che con questa strategia l’azienda si indirizza ad un segmento di clientela radicalmente diverso da quella a cui si rivolgono le aziende che hanno abbracciato una strategia di leadership di costo.

Qualche esempio di strategia di differenziazione? Qui è fin troppo facile identificare le aziende che nel loro settore hanno costruito una strategia di differenziazione.

È sufficiente pensare ai grandi brand, quelli per il quale il cliente è disposto a pagare un premium price. Apple nel settore dei computer, Cartier e Bulgari nel settore della gioielleria, Mercedes, BMW e Audi nel settore automobilistico, Four Seasons nel settore dell’albergazione, e via dicendo.

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Cartier, Audi, Apple, Four Seasons: strategie di differenziazione connesse a brand di valore straordinario

 

La strategia di differenziazione è una strategia vincente nel lungo periodo, molto più di quanto possa esserlo una strategia basata su un vantaggio competitivo puramente di costo. Ma non è una strategia per tutti, anzi.

Perché non si crea un vantaggio competitivo sul nulla. Ci deve essere una vera differenza, nella value proposition, in termini di qualità o tecnologia. Ma questo richiede tempo, investimenti, ricerca. E poi costruire un vero brand richiede importanti investimenti di marketing.

Se siamo stati davvero capaci di creare un reale vantaggio competitivo di valore, bene. Ma il rischio di bruciare risorse nel tentativo (o nel sogno) di essere la prossima Apple non va sottovalutato.

Tuttavia, le opzioni studiate dal Porter non finiscono qui, in questo binomio “costo vs valore”. C’è un altro modo per crearsi il proprio spazio nel mercato. E infatti il Porter indica una terza strada.

 

 

Vantaggio competitivo di focalizzazione: strategia di nicchia

Questa strategia è meno intuitiva, quindi facciamo attenzione. L’azienda identifica un segmento di mercato che non è soddisfatto né dai prodotti offerti da chi punta tutto sul prezzo, né dai prodotti ad alto valore, quelli che hanno un forte brand alle spalle.

Perché è un segmento di mercato che esprime necessità molto particolari, così particolari che le aziende non vogliono nemmeno entrarci. Ed è un segmento limitato, e anche per questo le aziende non lo considerano realmente appetibile.

Le aziende che ricercano la leadership di costo ricercano le economie di scala, e creare un prodotto ad hoc per un tale segmento non va in quella direzione.

E le aziende che fanno strategia di differenziazione si trovano ad avere le armi spuntate di fronte ad a quel segmento troppo esigente e troppo ristretto.

Perché di quello stiamo parlando, di una nicchia. E allora?

Potrebbe accadere che un’azienda decide di focalizzarsi su quella nicchia, costruire quel prodotto ad hoc capace di soddisfare quei clienti, e di specializzarsi al punto da demotivare ulteriormente le altre aziende ad entrarci.

 

Strategia di nicchia: il caso dell’orologeria

Qui trovare degli esempi è più difficile, perché proprio in quanto si tratta di nicchie molti di noi ignorano del tutto certi brand, certi prodotti. Facciamo un esempio: il settore dell’orologeria.

Identificare i player che fanno di strategia di differenziazione è facile: basta pensare a tutti i grandi brand, da Rolex a Piaget, da Patek Philip a Blancpain. Ma non devono essere necessariamente prodotti di lusso: anche Omega, pur non posizionando i suoi prodotti sulle fasce più alte di prezzo, è un brand che attua strategia di differenziazione.

Poi ci sono aziende che propongono orologeria a prezzi contenuti: Citizen, Fossil, Seiko. Fanno strategia di leadership di costo e – fate attenzione – è una strategia che riesce benissimo: sono loro i leader di mercato globali.

Ebbene, in un mercato che si gioca tutto in una polarità tra brand e alta qualità da una parte, e produzione a basso costo e alti volumi dall’altra, non è facile inserirsi. A meno di non identificare una nicchia.

È quello che ha fatto un’azienda italiana, basata a Firenze, che ha puntato tutto su un segmento di clientela estremamente attento all’ambiente, proponendo così orologi con cassa e cinturino in legno, e quindi assolutamente biodegradabili, col marchio WeWood.

E’ chiaro che un’azienda che ha adottato questa strategia non potrà mai dar vita ad un brand aspirazionale, comparabile ai veri grandi brand dell’orologeria.

Né potrà mai essere fortemente competitiva sul prezzo, e proporre prodotti a prezzi aggressivi capaci di conquistare importanti quote di mercato. Anche perché, se lo facesse, tutte le buone intenzioni ambientalistiche si scontrerebbero con la necessità di attivare economie di scala produttive e d’acquisto, e quindi di utilizzare notevoli quantità di legname, disboscando intere foreste.

Ma in quella nicchia specifica, con quel posizionamento che l’azienda stessa definisce  “emblema di eco-lusso e design, impegnato per la salute del nostro pianeta”, WeWood si è ricavata un suo spazio nel quale difficilmente i grandi marchi globali avranno interesse a sviluppare un business.

Un altro esempio? Un’altra azienda italiana nel settore dell’orologiera. Questa volta non siamo a Firenze ma a Venezia. E che lo crediate o no, quest’azienda ha identificato un segmento di clientela che ama indossare orologi nuovi, nuovissimi, ma dal look anticato, vintage. Non a caso il brand, OOO, sta per Out of Order Watch. Utilizzando addirittura come payoff del brand “Damaged in Italy“!

Mai come in questo caso è evidente la ricerca di una nicchia per potersi ritagliare uno spazio in un mercato polarizzato tra grandi brand e prezzi aggressivi. Nel loro stesso sito dichiarano “ In the highly competitive Watch World we were the first to design a watch with that old vintage charm, without compromising on the watches’ quality”.

 

I limiti della strategia di nicchia

Bene, direte voi, molto intelligente questa strategia di nicchia. Quindi, se non possiamo costruire un significativo vantaggio competitivo di differenziazione, né possiamo ottenere un vantaggio di costo, è meglio orientarci sulla nicchia.

Corretto. Ma corretto non vuol dire che sia poi facile da implementare, una strategia di nicchia.

Un vantaggio competitivo di focalizzazione si basa su dei requisiti.

(1) Occorre che una nicchia esista. Sembra banale, ma è così. Individuare una nicchia non è facile, e a volte non è nemmeno possibile, soprattutto nei grandi mercati globali.

(2) Occorre poi che la nicchia non sia già presidiata da un’azienda che abbia già realizzato prima di noi un’efficace strategia di nicchia. Conquistare una nicchia già occupata non è facile. Ci sono basse probabilità di successo, perché il player pre-esistente avrà già sviluppato una significativa curva di esperienza, nonché un buon livello di fidelizzazione da parte del cliente. E in una nicchia non c’è spazio per tutti.

(3) Anche se la nicchia esiste, ed è occupabile, occorre ricordare che una strategia di nicchia difficilmente potrà avere grandi ambizioni. Non potrà mai evolversi in una leadership di mercato, proprio perché le risorse saranno tutte investite focalizzandosi sul quel segmento di clientela. Il brand sviluppato sarà poi inevitabilmente legato a quella nicchia. Sarebbe come se quell’azienda che ha creato il marchio WeWood volesse all’improvviso conquistare il mercato globale facendo orologeria a basso costo in plastica. Una strategia suicida.

Insomma, anche la strategia di nicchia ha i suoi limiti. Ma non lasciatevi spaventare. Dipende molto dal mercato di cui stiamo parlando. C’è anche chi l’ha realizzata sviluppando un business rilevante, e creando un brand formidabile. Un nome?

Nel settore motociclistico c’è un brand che chiaramente non si rivolge al mercato in generale, ma a un preciso segmento, che ha coltivato nel tempo una clientela altamente fidelizzata, sviluppato un brand iconico come pochi, e un fatturato che supera $5 miliardi. Parliamo di Harley Davidson.

Quindi, attenzione alle generalizzazioni. Vi sono mercati nei quali le nicchie non esistono o sono assolutamente marginali, altri dove le nicchie possono generare fatturati importanti ad alta marginalità.

 

 

Le strategie di Porter: domande finali

Leggendo l’articolo, si sarà accesa qualche domanda. Provo anche ad anticiparne alcune, esattamente tre, dando delle risposte rapide. Ma sappiate che ognuna di queste domande meriterebbe un articolo.

 

Qual è la migliore strategia di business, allora?

Tra le strategie identificate dal Porter non esiste la migliore strategia in assoluto. Il contesto, l’aspetto situazionale, è fondamentale. La valutazione delle competenze e delle risorse interne è altrettanto fondamentale. Insomma, la migliore decisione varia caso per caso.

Non solo: nel tempo un’azienda potrebbe anche valutare di modificare la propria strategia (cosa tutt’altro che rara). L’importante ora è che abbiate capito che ognuna delle 3 strategie generiche presenta quelli che chiameremmo “pro e contro” da considerare.

Sempre ricordando che la strategia migliore è anche quella correttamente eseguita. Preferireste aver individuato la strategia ottimale ma aver dato prova di scarsissima capacità di execution, o aver individuato una strategia che non vi convince al 100% ma che poi realizzate in maniera impeccabile raggiungendo i vostri obiettivi?

 

Ma il confine tra le 3 strategie di business è così netto?

No. Tutt’altro. a volte è davvero difficile incasellare la strategia di un’azienda in uno dei 3 modelli proposti dal Porter. La realtà segue binari più confusi e complessi della semplificazione teorica. anche perché le strategie si evolvono, e si spostano da un modello all’altro.

Vi ricordate quando si compravano gli smartphone Samsung solo per il prezzo contenuto? Ormai non lo ricordate più, perché da tempo hanno spostato il loro vantaggio competitivo dal costo alla differenziazione.

E avete notato come pian piano Lidl si stia discostando da una strategia di leadership di costo e creando un brand che non comunica solo convenienza?

Altre volte le strategie nascono già a cavallo tra 2 modelli diversi. Tesla fa strategia di differenziazione o strategia di nicchia? Gli orologi Swatch hanno raggiunto quell’enorme successo negli anni 90 grazie ad un vantaggio competitivo di costo o grazie al brand? Se non sapete dare una risposta, avete dato la risposta esatta. Sono strategie ibride.

 

Il modello delle strategie generiche di Porter è ancora attuale?

Sì e no. Sì, perché concettualmente resta validissimo. No, perché nel tempo lo studio accademico della strategia di business ha identificato modelli più vicini alla realtà. Uno di questi in particolare va citato: la celebre “Strategia Oceano Blu“. Un modello strategico ideato dai docenti dell’Insead Chan Kim e Renée Mauborgne e illustrato nel loro libro “Blue Ocean Strategy” pubblicato nel 2004.

In sostanza, l’azienda non è costretta a scegliere tra vantaggio competitivo di costo, di valore, o di focalizzazione su una nicchia. L’azienda può al contrario ridisegnare completamente la sua strategia combinando elementi provenienti da diversi approcci strategici.

Ad esempio, sviluppare un brand di successo, offrire un prodotto di alta qualità, e allo stesso tempo rivedere la struttura dei costi per ridurre i prezzi finali. Un ottimo esempio è stata la strategia di Swatch negli anni 80 e 90, che ha ragionato totalmente al di fuori di quegli che sembravano schemi consolidati.

Strategie ibride, quindi, così efficaci da permettere non solo di vincere nei mercati, ma persino di creare nuovi mercati, nuove modalità di competizione. Anzi, come dice il sottotitolo del libro, “vincere senza competere“.

Segnalo poi un recentissimo approccio teorico, definito Bamboo Strategy, che mette pesantemente in discussione la visione di Michael Porter ritenendola obsoleta in un ambiente in rapida e incerta evoluzione. Anzi, a dirla tutta, mette persino in discussione la più recente Strategia Oceano Blu appena citata!

Ma, ripeto, la costruzione concettuale delle strategie generiche resta solidissima.

 

Conclusione

Insomma, anche se le strategie generiche del Porter oggi appaiono letteralmente… generiche, ciò non vuol dire che i concetti fondamentali che esprimono siano messi in discussione. Restano validissimi, solo che i modelli attuali si approssimano meglio alla complessità della realtà.

Chiunque intenda sviluppare possibili opzioni strategiche, dovrà inevitabilmente ragionare sull’identificazione del vantaggio competitivo da perseguire, e su come connetterlo ad una precisa strategia. Sapendo oggi, però, che non esistono confini rigidi, che una strategia può assorbire e miscelare più elementi. E che le strategie migliori spesso mostrano un elevato grado di creatività nell’integrare fattori che a prima vista appaiono distanti tra loro.

Nota

Potrebbero interessarvi alcune considerazioni sugli elementi fondamentali di una strategia in un mio recente articolo (solo apparentemente semiserio) pubblicato nel settembre 2021.

 

 


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