Ti sei mai chiesto cosa sia davvero la strategia? E quale sia il corretto processo di pianificazione strategica per costruire una strategia efficace? E quante volte ti sei imbattuto in quei termini che così frequentemente circolano quando si parla di strategia, come vision o mission… e ti sei chiesto che differenza c’è?!
Partiamo insieme per un viaggio veloce, dal quale spero che – al termine – ne uscirai con le idee più chiare. Dai, non perdiamo tempo e iniziamo.
Cosa è la strategia?
Innanzi tutto, strategia è un termine piuttosto abusato. Peccato, perché è un concetto così importante, ma poi viene spesso buttato lì un po’ a caso, quasi ignorandone il significato.
A dirla tutta, non è del tutto colpa nostra. La televisione ci mette lo zampino. Hai notato quante volte la parola “strategia” viene usata a sproposito persino in quei programmi televisivi su cucina e ristorazione, solo per indicare qualche banale tatticismo di qualche concorrente? Un po’ come quando Bruno Barbieri chiede “Antonella, secondo te quella di Mario è strategia?”.
E allora restituiamo alla parola strategia la dignità che si merita, anche considerando le sue nobili origini: dal greco antico, dove indica l’arte del condottiero di eserciti, ovvero dello στρατηγός.
Dunque, cos’è una strategia? Semplificando al massimo, una strategia è definita sostanzialmente da due elementi: da una parte uno o più obiettivi da raggiungere, dall’altra un piano, che risponde appunto alla domanda “come raggiungere quegli obiettivi?”.
Un piano che è fatto di decisioni, ma non decisioni qualunque. Sono decisioni cruciali, che richiedono quasi sempre investimenti, se ne vedono i loro effetti nel lungo periodo, e sono irreversibili. Appunto, sono decisioni strategiche, che hanno un indubbio impatto sul futuro dell’organizzazione aziendale.
In un’azienda, decidere di entrare nel mercato cinese per espandere il fatturato è una decisione strategica, mentre decidere di aprire gli uffici in una via di Shanghai anziché in un’altra è una decisione che, per quanto possa essere complessa, non è strategica, non decide i destini della nostra azienda.
L’insieme coordinato delle decisioni strategiche che abbiamo assunto, con l’intenzione di raggiungere l’obiettivo, è appunto il nostro piano strategico.
Ma attenzione: oltre agli obiettivi, e al piano per raggiungere quegli obiettivi, c’è da considerare due ulteriori elementi.
Nella strategia vanno prese delle decisioni in un contesto competitivo: non possiamo mai ignorare che ci siano dei concorrenti.
E poi, una strategia implica prendere delle decisioni sull’utilizzo delle nostre risorse.
Personalmente sono un appassionato di scacchi, e mi riesce un po’ più facile spiegare certi concetti facendo dei paralleli col “nobil gioco”. Ecco, anche se molto probabilmente non condividi la mia passione (buon per te…), il gioco degli scacchi può esserti utile per alcuni paragoni.
Eccoci davanti ad una scacchiera. Siamo in un contesto competitivo: c’è un avversario che ha un incentivo nell’ostacolare il mio gioco. Il mio obiettivo è dare scacco matto al Re dell’avversario, cosa che il mio avversario farà di tutto affinché non accada.
Le risorse a disposizione sono i pezzi che ho a disposizione sulla scacchiera (ma anche il mio bagaglio di esperienza di gioco, la mia conoscenza teorica delle aperture e dei finali, il tempo a disposizione, etc.).
Il piano è ad esempio conquistare il centro della scacchiera e poi attaccare l’arrocco dell’avversario, e per arrivare a formulare quel piano ho dovuto assumere un insieme di decisioni strategiche: fare l’arrocco lungo o l’arrocco corto, etc.
La singola mossa o combinazione di mosse non è strategia, ma è tattica: come operativamente concretizzo il mio piano.
Fin qui credo che ti sia tutto abbastanza chiaro, ma so che cominciano a venirti un po’ di domande, e immagino anche quali. Un attimo di pazienza, troverai le risposte tra poco.
Da dove parte la costruzione di una strategia? Vision, mission e purpose.
Da quanto appena spiegato, avrai capito che prima vengono fissati degli obiettivi, e poi a seguire un piano per raggiungerli. D’accordo, è quasi lapalissiano, ma come si fissano degli obiettivi stategici?
Ovviamente occorre avere una chiara idea del mercato, della concorrenza, dei trend in corso, e molto altro. Diversamente potremmo fissare obiettivi che sono al di là persino del semplice buonsenso.
Ma prima ancora c’è da fare un discorso che è preliminare agli obiettivi strategici, è a un livello più alto. Esatto, stiamo per parlare di vision, mission e purpose.
La vision, la scommessa sul mondo che verrà
Per cominciare, un’azienda deve avere una vision. Cosa è una vision?
È come l’azienda vede il futuro a lungo termine nel suo mercato di riferimento. La vision è sempre importante, e nel caso di una startup è addirittura importantissima. Perché la stessa startup nasce da una visione del futuro, che però è tutta da dimostrare.
Pensa al giovanissimo Bill Gates che immagina un mondo in cui in ogni casa ci sarà un PC.
Oppure a Elon Musk che immagina un mondo in cui la transizione verso le fonti rinnovabili di energia e verso tecnologie sempre più potenti cambierà profondamente l’automobile, che non sarà più solo un veicolo ma sarà hardware e software.
Questa vision è un po’ una scommessa per l’azienda, ed è una scommessa vitale per la startup: si immagina dove va il mondo, si fa un po’ un atto di fede, ma potrebbe essere sbagliata, e allora tutto si costruirebbe su un castello di carte.
La mission, quale ruolo intendiamo giocare
Nell’ambito della vision, l’azienda intende giocare un ruolo, e quello è la sua mission.
In quel mondo in cui ci persino intravedeva l’automobile – come la conosciamo – avviata ad entrare in un profondo cambiamento, Elon Musk voleva che Tesla rappresentasse l’azienda che avrebbe pilotato questa transizione epocale: ecco la mission di Tesla.
Ora, nella pratica vision e mission sono due termini destinati a confondersi e sovrapporsi di continuo, e basta dare un’occhiata ai siti persino di grandi corporation per rendersene conto. Ma se tieni ben separati i due concetti è meglio, pur sapendo che poi si trovano pareri discordanti, e tanta confusione.
Il purpose, perché il denaro non è tutto, anche per un’azienda
Ovviamente la mission deve avere un senso economico, perché definisce qual è la ragione di esistere dell’azienda nel mercato. Ed esistere per un’azienda significa essere economicamente sostenibile nel lungo periodo.
Ma oggi è impensabile limitare il ruolo di un’azienda a pura macchina sforna-profitti o paga-stipendi. Troppi sono oggi gli stakeholder che hanno un qualche interesse per l’azienda, oltre agli azionisti, ai dipendenti e ai fornitori: ci sono i consumatori, lo Stato, la società civile, e non ultimo l’ambiente.
Ed ecco allora che è bene affiancare a vision e mission un terzo concetto, più sfuggente ma non per questo secondario: il purpose. Il purpose ci dice quale ruolo intende assumere l’azienda nel mondo, oltre il puro senso economico.
Nel caso di Tesla, per intenderci, il purpose non è essere pionieri e leader della nuova industria automobilistica del XXI secolo, quella semmai è la mission, ma è contribuire ad un pianeta più sostenibile, nel quale l’ambiente sia meno impattato dall’industria automobilistica.
Il purpose, quindi, è la finalità più profonda dell’azienda, è delineato in una dimensione etica e non più puramente economica, e da esso derivano i valori più rilevanti per l’azienda stessa.
Tutto chiaro sinora? Allora procediamo.
Una strategia per ogni livello: corporate, business, funzione aziendale
Una volta definita una vision e una mission (e idealmente anche un purpose), viene fissato un obiettivo strategico, per il quale elaboreremo il nostro piano strategico, ovvero l’insieme delle decisioni strategiche che prendiamo per raggiungerlo.
Immaginiamo che l’obiettivo sia quello di crescere, nel nostro business – poniamo nel mercato pet food – entrando aggressivamente nel canale dell’e-commerce, perché nell’analisi preliminare fatta (ne parleremo più avanti) abbiamo capito che vi sono delle opportunità di espansione del fatturato nell’area delle vendite online, ad oggi non sufficientemente presidiata.
Da un obiettivo di questo tipo, definito evidentemente a livello di business, ne discende la nostra strategia di business.
Ma poi, per realizzarla, occorrerà capire più concretamente come fare, definendo a un gradino più in basso obiettivi specifici e strategie specifiche a livello di funzione. Per crescere nell’e-commerce, occorrerà:
- che la funzione marketing individui una strategia idonea ad attrarre clienti verso gli store online
- che la funzione commerciale sviluppi una strategia per crescere nel canale: creazione di un proprio e-commerce, ingresso in siti di e-commerce terzi, partnership commerciali, etc.
- che la funzione IT metta in atto una strategia di digitalizzazione dell’impresa, che consenta una gestione fluida per le vendite online e per le attività di marketing digitale.
Può bastare, come esempio. Avrai capito che da un obiettivo strategico, a cascata, ne derivano più obiettivi funzionali ognuno dei quali richiede una specifica strategia: di marketing, di vendita, finanziaria, etc.
Però, nel caso di un’azienda presente in più business, occorrerà fare un passo indietro e partire – prima della formulazione di un obiettivo strategico peril singolo business – da un obiettivo a livello corporate e pertanto una strategia corporate.
Perché magari, oltre al business del pet food, il gruppo include il business degli alimenti per bambini, il business dolciario, il business del caffè e via dicendo. E ogni business gioca un suo ruolo, ma occorre tenere una regia comune, svilupparne le possibili sinergie, etc.
Una strategia corporate prende quindi in considerazione i diversi business e ha come finalità la gestione di un portafoglio di business. Per intenderci, pensa alla popolare Matrice BCG (Boston Consulting Group), il più noto tool strategico per analizzare i diversi business, vederli nel loro insieme, e cominciare a prendere decisioni a livello corporate.
Quindi, abbiamo una serie di obiettivi/strategie a livello diverso, come in un flusso:
Riepilogando, nel caso di aziende complesse e multi-business, si parte prima da obiettivi e strategie a livello corporate, poi ne discendono obiettivi e strategie a livello di business, e infine obiettivi e strategie a livello di funzione.
La definizione degli obiettivi strategici
Qui ci sarebbe da parlarne a lungo, ma in sostanza va chiarito che gli obiettivi non devono essere vaghi e fumosi. Esiste il noto acronimo SMART, che racchiude 4 criteri che andrebbero sempre rispettati nella definizione di un obiettivo: specific, measurable, achievable, realistic e time-related.
Mi concentro qui sulla misurabilità in particolare. Fissando un obiettivo corporate non basta parlare di crescita, ma quanto, in quanto tempo, in base a quali parametri (utili netti, vendite, cash-flow, etc.).
E così, anche nel definire gli obiettivi di business, occorre essere specifici: ad esempio, nel pet food portare la nostra market share dal 25% al 30% in due anni, e l’EBITDA sulle Revenue dal 20% al 24%.
Naturalmente non faranno eccezione gli obiettivi a livello funzionale: nella strategia di vendite incrementare il fatturato del canale e-commerce del +80% in due anni e nel canale GDO del +8%, etc.
Perché questo? Per tante ragioni, facilmente intuibili, ma soprattutto in quanto una strategia non si completa con la sua execution, ovvero l’averla implementata, ma richiede poi una misurazione dei risultati, che vanno comparati con gli obiettivi fissati nel piano strategico per capire se occorrano delle correzioni.
Ecco, quando si parla di strategia alla fine si parla sempre di performance: una strategia ha senso solo se modifica la performance aziendale nella direzione voluta, e questo richiede misurabilità e analisi. Tienilo in mente.
Il processo di pianificazione strategica, partendo dalla vision
Si sa che un’immagine vale più di mille, ed ecco uno schema molto semplice. Scorriamolo insieme.
Quindi, si parte avendo idee chiare su quale sia la vision, la mission e il purpose dell’azienda.
A seguire, si procede con un’accurata analisi interna ed esterna dell’azienda, perché la strategia va contestualizzata. Uno dei più diffusi tool per questa fase è la popolarissima SWOT Analysis (acronimo di strengths, weaknesses, opportunities & threats), per la quale puoi consultare quando vuoi uno specifico articolo in questo stesso blog.
Soltanto completata l’analisi, possiamo individuare dei possibili obiettivi strategici e quindi delle relative possibili strategie, che altro non sono che opzioni, ovvero alternative. Si tratta allora di effettuare un assessment per valutarle e individuare quelle più opportune: è questa la fase decisionale più delicata e complessa, il cuore stesso del processo.
A seguire, la pianificazione delle azioni da intraprendere per raggiungere quegli obiettivi strategici, considerando anche l’allocazione delle risorse disponibili.
E poi, evidentemente, la fase dell’implementazione, spesso definita execution, quella forse meno nobile e più trascurata dagli accademici, perché è quella in cui il management deve sporcarsi le mani, ma anche quella nella quale, tipicamente, “casca l’asino”. Un po’ come quando sulla scacchiera prima citata si forgia la migliore strategia, ma poi si affonda miseramente a causa di tattiche completamente sbagliate.
E infine, la fase di controllo, fondamentale per capire se stiamo seguendo l’orientamento della bussola nel nostro viaggio, ma anche per capire se quell’orientamento dato dalla bussola è davvero quello giusto, ovvero se la strategia decisa sia quella più opportuna. O magari è da ripensare.
Strategia e vantaggio competitivo
Ora, non ci sarà bisogno che ti dica che non esiste la migliore strategia in assoluto. È tutto contestuale, e ci sono in gioco troppe variabili. E tuttavia ci sono dei modelli che non puoi non conoscere.
Mi riferisco in particolare a quelli individuati dal grande accademico di Harvard Michael Porter, note come “generic strategies“. Sono tre diverse strategie che si distinguono tra loro in quanto vanno alla ricerca, ognuna, di un suo preciso vantaggio competitivo.
Cos’è il vantaggio competitivo? Stando alla larga da definizioni accademiche, è “quella cosa” che ci garantisce una migliore performance rispetto alla concorrenza.
Ad esempio, un’azienda può ricercare, come vantaggio competitivo, un vantaggio nella struttura dei costi che consente di vincere sul mercato grazie a prezzi più aggressivi. Ed ecco una delle strategie generiche di Porter, che lui definisce “leadership di costo”.
Che è cosa ben diversa da una strategia di differenziazione o una strategia di nicchia. Se vuoi saperne di più, dai pure un’occhiata all’articolo dedicato.
Poi c’è chi, successivamente, ha dichiarato che la visione del Porter era superata, e che nel mondo moderno le imprese davvero vincenti, innovative, sono quelle che mettono in atto strategie tali da creare nuovi mercati nei quali non c’è nemmeno concorrenza. Un po’ come vincere senza nemmeno competere. Anche di questa, nota come Strategia Oceano Blu, puoi trovare approfondimenti in questo blog.
Dalla teoria alla pratica
Quello descritto è un flusso logico, che ci consente di pilotare un’azienda senza che le decisioni siano assunte di pancia o peggio, lanciando una moneta in aria.
Le corporation ben strutturate si attengono abbastanza fedelmente, anche se ognuna di esse ha una sua reinterpretazione del processo, usa specifici tool, ma la sostanza non cambia: grattando sotto la superficie delle cose, ritroviamo tutti i pezzi (poi magari il purpose lo chiamano mission, e la mission la chiamano vision, ma non conta, alla fine sono etichette).
Le startup ovviamente seguono processi molto differenti, che appaiono in confronto del tutto destrutturati. Ma è giusto che sia così, perché sono situazioni del tutto diverse, e non a caso è stata nel corso degli ultimi decenni ben definita una strategia lean pensata, sperimentata e formalizzata appositamente per le startup.
E le PMI? Qui accade davvero di tutto. Ma è intuitivo che quanto più si va in basso, nella scala dimensionale, dalla media impresa alla piccola impresa, tanto più è raro trovare un processo formalizzato. Anche perché la strategia in questi casi ha il brutto vizio di stare, più che in un documento condiviso con tanto di lavoro di pensiero e di analisi sottostante, nella testa dell’imprenditore.
Che la strategia nasca nella testa dell’imprenditore non è un male in sé, se si tratta di un imprenditore “illuminato” o esperto. Anche se l’assenza di un processo specifico incrementa enormemente i rischi d’impresa, sia ben chiaro!
Il problema è quando la strategia nasce e resta nella testa dell’imprenditore, ovvero non viene nemmeno comunicata ai collaboratori. Ecco, la comunicazione e condivisione interna della strategia in azienda è un aspetto da non trascurare, ma ne riparleremo in una prossima occasione.
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