Quando si parla di strategie brand-oriented il pensiero corre immediatamente ai grandi brand attivi in mercati B2C, come Nike, Coca-Cola, Gucci, Disney. Al più, per i settori B2B, vengono in mente grandi corporation nei settori finanziari (American Express, Morgan Stanley) o nei settori hi-tech (Microsoft, Apple).
Come se il concetto di brand fosse quanto di più distante dalla galassia delle piccole-medie imprese operanti nei mercati business-to-business.
In realtà il brand resta un elemento di vantaggio competitivo rilevante anche nel contesto delle PMI nei settori B2B, come dimostrato da uno studio finalizzato a fare luce sulla relazione tra l’orientamento verso il brand e la performance finanziaria in tale contesto, studio pubblicato nel 2018.
Lo studio è stato realizzato in Finlandia, esaminando i dati raccolti tra 250 piccole-medie imprese, coinvolgendo ricercatori anche di università australiane (del Dipartimento di Marketing della Deakin University di Melbourne, della School of Business dell’Università della Queensland University, e della Business School della Griffith University) e i risultati sono estremamente interessanti.
Le 250 imprese coinvolte sono distribuite tra diversi settori e corrispondo tutte ai criteri di definizione di SME (small-medium enterprises) fissati dalla Commissione Europea: non oltre 50 milioni di euro di fatturato annuo e non oltre 250m dipendenti.
La ricerca dimostra, dati alla mano, come anche nel caso di PMI in settori B2B le strategie orientate al brand migliorino i risultati aziendali in maniera misurabile.
Il valore del brand per le PMI nei settori B2B
La ricerca, anziché parlare di una generica ‘brand equity, ha voluto focalizzarsi su due distinti aspetti: la brand awareness ovvero la notorietà del brand, e la brand credibility ovvero la credibilità del brand, e ha esaminato come questi due aspetti possano avere un impatto positivo sulle performance finanziarie delle piccole-medie imprese nel B2B.
In altre parole, quanto il brand viene riconosciuto e quanto viene apprezzato, ha un peso su fatturato e profitti? E allora, strategie di marketing che facciano leva sul brand apportano dei benefici effettivi alle imprese?
Le key-metrics prese in considerazione dai ricercatori per misurare l’impatto finanziario comprendono
– il tasso di crescita delle vendite
– la quota di mercato
– la profittabilità del business dell’impresa
– la performance finanziaria complessiva dell’impresa
La risposta finale che viene data dai ricercatori è positiva:
“i risultati forniscono un’evidenza empirica del fatto che le piccole-medie imprese nel B2B ottengono considerevoli benefici finanziari investendo nel divenire maggiormente brand-oriented.”
Come il brand ha un impatto positivo sulla performance finanziaria per le PMI nel B2B
Ma il risultato più interessante della ricerca è l’aver fatto luce su come le strategie di marketing orientate al brand generino dei vantaggi per le imprese. I ricercatori infatti hanno individuate due ‘percorsi’, che definiscono external path e internal path. Ne vale la pena soffermarsi su questa parte dello studio.
Per external path si intende qualcosa di estremamente intuitivo: il vantaggio competitivo che determina il brand nella comunicazione di marketing rivolta al mercato. Nel caso delle imprese business-to-consumer, è l’aspetto prevalente: da oltre mezzo secolo è ormai noto quanto le strategie di differenziazione basate sul brand apportino vantaggi tangibili alle aziende, consentendo loro un posizionamento che si traduce in maniera immediata in vendite profittevoli.
La cioccolata spalmabile prodotta dalla Ferrero è leader di mercato proprio grazie all’immenso valore del brand Nutella, che giustifica pienamente gli importanti investimenti pubblicitari fatti ogni anno.
E questo vale anche nel business-to-consumer, come dimostra la ricerca. Ma l’aspetto più interessante e meno intuitivo che emerge, per il B2B, è dato dall’internal path.
Con tale espressione i ricercatori identificano il percorso col quale il brand, attraversando all’interno la PMI, comporta dei benefici finanziari misurabili.
“L’internal path implica che tutti i dipendenti, incluso il personale di vendita, sia pienamente informato su tutte le caratteristiche essenziali del corporate brand per aiutarli nel comunicare e rinforzare la credibilità del brand”
Un esempio? Si pensi ai venditori, i quali possono far leva sul brand – se c’è un brand forte e riconoscibile – durante le negoziazioni di vendita o per i contratti di commercializzazione di servizi e prodotti.
In altre parole, un venditore è nettamente più efficace nel negoziare con il buyer di un’azienda-cliente quando ha alle spalle un brand ben riconoscibile e apprezzato.
Il concetto di Internal Branding nel B2B
Ed ecco allora che viene fatta luce sul valore dell’internal branding, quel processo aziendale interno col quale tutti i dipendenti – non il solo top-management! – comprendano i valori del brand e si impegnino per questi nella loro attività quotidiana. Usando l’efficace espressione dei ricercatori, un processo che consenta al personale di “vivere il brand”.
Non è un processo semplice, perché richiede la realizzazione di precise iniziative che, nell’ambito di un sistema complessivo, consentano una comunicazione interna fluida e continua dei valori del brand. Ma è un processo di chiaro valore, perché i dati dimostrano una correlazione positiva tra l’internal branding e i risultati aziendali.
Una correlazione che passa proprio dall’internal path, da quel percorso interno prima citato, dove l’esempio più evidente è quello dei venditori agevolati da un brand forte durante i processi di vendita, ma si pensi anche a come il brand possa migliorare l’efficacia del personale nel customer service, nei servizi post-vendita, nel design di nuovi prodotti o nuovi servizi.
In conclusione
La comune narrativa, spiegano in conclusione i ricercatori, è che le strategie di brand siano di beneficio solo nella relazione esterna col cliente, ovvero verso un’audience esterna. In realtà non vanno sottovalutati i benefici che le strategie brand-oriented hanno verso l’audience interna, ovvero lo staff dei collaboratori interni.
Gli investimenti nel brand building da parte delle PMI sarebbero pienamente giustificati, in termini di ritorno, anche nel business-to-business, nonostante la visione diffusa – non solo in Finlandia, terreno di studio – di una scarsa rilevanza del brand alla quale ho immediatamente fatto riferimento all’inizio dell’articolo.
È un problema anche italiano? Molto probabilmente si.
Non sono disponibili dati recenti relativi alle nostre PMI nel B2B, ma c’è una interessante ricerca intitolata “Branding e aziende B2B” condotta lo scorso anno dalla School of Management del Politecnico di Milano (quindi non ristretta alle PMI) che evidenziava come il 60% delle nostre imprese investe in marketing e comunicazione meno del 5% del fatturato, e che di tale investimento – già piuttosto limitato – di solito le attività di brand building assorbono meno del 30%.
Stiamo dicendo che nel B2B in Italia di solito si investe nel brand non oltre il 30% del 5%, ovvero un punto e mezzo percentuale del fatturato! È facilmente immaginabile che tale percentuale sarebbe stata ancora più risicata se la ricerca si fosse concentrata sulle sole PMI.
Per altri articoli sul tema del branding nel B2B in questo blog segnalo:
“Il marketing nel B2B. il brand Intel” sullo straordinario best-case dell’azienda leader globale nei microchip
“Imprese B2B e marketing: il brand” sulle strategie di brand management nel business-to-business