Ti sarò capitato qua e là di leggere l’espressione transmedia storytelling senza che ti sia ben chiaro il suo significato. E non aiuta il fatto che sia usato a volte un po’ a sproposito, o che venga presentato come un qualcosa necessariamente connesso ai nuovi media digitali.
Cominciamo a fare un po’ d’ordine e chiarezza, per capire bene questo concetto.
Quando è nato il concetto di transmedia storytelling?
L’idea di un contenuto distribuito attraverso una molteplicità di diversi media la si può ritrovare sin da alcune narrazioni che venivano diffuse, già nei secoli passati, attraverso i libri, il teatro o anche semplicemente tramandate oralmente. Un buon esempio potrebbero essere le vicende narrate nel Vangelo nell’Europa cristiana del medioevo.
Ma data la scarsa penetrazione dei media dell’antichità (si pensi al libri prima della stampa di Gutenberg), e anche la stessa scarsità di forme di media nell’era precedente la rivoluzione ‘elettronica’, parlare di transmedia storytelling con riferimento ad un lontano passato è un po’ una forzatura.
Qualcuno ha provato a identificare i primi casi. Si cita spesso il romanzo “Pamela; or, Virtue Rewarded” del 1740 scritto dall’inglese Samuel Richardson che, sull’onda del successo diede vita ad un romanzo ‘sequel’, adattamenti teatrali, diversi dipinti di noti pittori, e secoli dopo un film, e una serie televisiva… proprio in Italia, la popolare “Elisa di Rivombrosa” (2003)!
In ogni caso, l’espressione transmedia storytelling appare per la prima volta nel 2003 nei seminari di Henry Jenkins, docente universitario di comunicazione e giornalismo, che lo approfondisce poi nel suo saggio del 2006 “Convergence culture: where old and new media collide”.
Quindi, se è vero che non sono i media digitali a connotare il transmedia storytelling, il concetto ha potuto prendere forma soltanto nell’era moderna dell’informazione digitalizzata.
La definizione di transmedia storytelling di Henry Jenkins
Henry Jenkins, che può quindi essere considerato un po’ il “padre” del concetto di transmedia storytelling, lo definisce in questo modo:
Il transmedia storytelling rappresenta un processo nel quale gli elementi integrali di una narrazione vengono sistematicamente diffusi attraverso una molteplicità di canali, allo scopo di creare un’esperienza di entertainment unica e coordinata.
Idealmente, ogni media dà un suo proprio contributo allo svolgimento della storia.
La definizione è abbastanza chiara, ma la voglio ugualmente rielaborare: è una narrazione che giunge nella sua completezza al suo pubblico attraverso diversi media, e tuttavia non in maniera frammentata e scoordinata.
Anzi, nella piena realizzazione del transmedia storytelling, chi fruisce del contenuto può vivere l’esperienza completa di entertainment solo attraverso più media tra loro intenzionalmente in sinergia.
Come dire, semplificando al massimo, che se ho solo visto una serie televisiva ma non ho visto il film o non ho giocato al video game, ho usufruito solo parzialmente dell’intero storytelling. Mi mancano dei pezzi della storia.
Lo stesso Jenkins fa un esempio, citando la franchise cinematografica di Matrix, dove fa notare che gli elementi rilevanti della narrazione vengono veicolati attraverso i film-live action, una serie di corti animati, il fumetto e diversi video game. Non esiste, insomma, una sola unica fonte dove l’utente possa raccogliere tutte le informazioni necessarie per comprendere pienamente l’universo di Matrix.
L’integrazione dei media nel transmedia storytelling
Si tratta dell’aspetto più importante. Non è sufficiente una molteplicità di media per parlare di transmedia storytelling. E’ questa è proprio la ragione per la quale il termine viene usato a volte a sproposito.
Per chiarirlo meglio, rappresentiamo la cosa visivamente.
Se ogni media semplicemente replica la stessa narrazione, non abbiamo a che fare con un esempio di transmedia storytelling. Per il fruitore del contenuto sarà sostanzialmente irrilevante conoscere la storia tramite un film o una serie televisiva o un libro, ma si tratterà semplicemente di vivere l’esperienza di entertainment attraverso il media a lui più congeniale.
L’immagine sotto esprime questo basilare framework di erogazione multi-mediale della narrazione.
Occorre invece che i media diano contributi diversi alla costruzione di uno storytelling integrato. Il libro, ad esempio, aggiunge elementi che nel film non vengono esplicitati, e la serie televisiva prequel ti fa scoprire cosa è avvenuto prima dei film.
Ma se gli elementi della narrazione non sono coerenti tra di loro, se non c’è sinergia tra i media, non siamo ancora davanti ad un vero esempio di transmedia storytelling. Il fruitore dei contenuti percepirà chiaramente un disallineamento, un’incoerenza, che potrebbe rendere confusa, persino negativa, l’esperienza di entertainment (vedi immagine sotto).
Non ti è mai capitato di pensare, guardando un film: “Ma come?! Nel libro la spiegazione è del tutto diversa!”
Nel transmedia storytelling occorre coerenza, sinergia, integrazione. Un po’ come in una orchestra, nella quale ogni strumento (il media) contribuisce in maniera armonica alla performance musicale complessiva (lo storytelling). Il pianoforte non sta semplicemente replicando le stesse note del violino.
Ogni elemento non si sovrappone banalmente, ma aggiunge qualcosa, arricchisce l’esperienza complessiva del fruitore dei contenuti, che è stimolato a proseguire nel suo viaggio nell’ambito di quell’universo narrativo, passando da un media all’altro (immagine sotto).
Come potrai intuire, c’è un elemento importantissimo in tutto ciò, al quale purtroppo non possiamo qui dedicare lo spazio che meriterebbe, e che lo schema prima visto non coglie.
Si tratta del tempo.
La narrazione transmediale non deve passare necessariamente attraverso tutti i media e allo stesso tempo, ma deve svilupparsi lungo un processo nel quale ogni media, al momento esatto, contribuisce a costruire l’esperienza di entertainment.
Per intenderci, per la media company (player fondamentale del quale parleremo presto), la quale orchestra il transmedia storytelling e pianifica il relativo business, sarebbe un gravissimo errore – esempio banale – uscire nelle sale cinematografiche con un film e contemporaneamente distribuire il sequel nelle piattaforme di streaming televisivo!
E ovviamente anche l’esperienza del fruitore dei contenuti sarebbe penalizzata da una totale assenza di timing, di una diluizione pianificata nel tempo dei vari contenuti.
Il transmedia storytelling nella moderna industria dell’entertainment
Oggi, dunque, in un contesto nel quale l’industria del media & entertainment ha un grandissimo impatto sulla nostra cultura e sulla nostra visione del mondo, i casi di transmedia storytelling non sono rari.
Oltre al già citato Matrix, sono numerose le franchise cinematografiche che dispiegano la loro narrazione attraverso il coordinamento in più canali della veicolazione dei contenuti verso il pubblico. Pensa ai mondi Marvel e DC Comics, come anche a Harry Potter, Lord of the Rings, Star Wars, The Walking Dead, I Pirati dei Caraibi, e via dicendo.
Oppure un altro buon esempio è quello della franchise giapponese Pokemon, la cui narrazione attraversa i videogiochi (dai quali si è originata il franchise), il cinema, l’animazione televisiva, le celebri cards collezionabili, il fumetto manga, l’app con gli effetti di AR (Augmented Reality) che resterà nella storia come la app più scaricata da Apple Store nella settimana di lancio.
Ma perché all’improvviso nell’era moderna c’è questa ‘tensione’ verso il transmedia storytelling? La prima risposta, ovvia, è che oggi c’è una ampia molteplicità di media impensabili in passato, e il digitale è stato decisivo in questo.
Ma c’è una risposta più complessa. Che è legata proprio alla moderna industria dell’entertainment.
I vantaggi del transmedia storytelling per le media company e per l’audience
Le attuali grandi medie corporations (Disney, Paramount, Warner, etc.) sono aziende ampiamente diversificate, con interessi in diversi media che una volta erano slegati tra loro.
Si pensi alla Disney del lontano passato (anni 70 e 80) la cui produzione televisiva era ben distinta dalla produzione dei film d’animazione e dalla produzione di film live-action. Ciò che funzionava eccellentemente in un media, raramente era poi declinato sugli altri media, tranne poche eccezioni.
Oggi l’approccio è del tutto diverso, vi è un modello ben preciso col quale si fa leva sull’investimento creativo su un franchise per generare opportunità di revenue attraverso una molteplicità di media e di business.
La Disney lo ha dimostrato ampiamente nella sua gestione della franchise Star Wars in seguito all’acquisizione della Lucasfilm nel 2012. All’improvviso l’universo Star Wars è stato strategicamente articolato attraverso i nuovi film, serie televisive di animazione e live-action, video game, fumetti, romanzi, e anche merchandise, ma in maniera ben coordinata.
Una logica che nel marketing strategico si definirebbe “brand extension”.
Persino le attrazioni nei popolarissimi parchi diventano un pezzo della strategia, alla pari di un vero e proprio media: nulla di strano, considerando i milioni di visitatori che attraggono ogni anno.
Come se tutto dovesse idealmente convergere su una ben precisa buyer persona che sviluppa la sua esperienza di entertainment in maniera allargata, non limitandola al solo film.
Quindi, le moderne media company hanno non solo l’opportunità (molteplicità di media che non c’era in passato) ma anche una sorta di doppio imperativo strategico:
(1) massimizzare le revenue generate da ogni fruitore di contenuti, spingendolo ad una esperienza di fruizione e consumo allargata
(2) ottimizzare l’investimento creativo richiesto dallo sviluppo di un franchise, sfruttandolo attraverso più canali possibile.
Insomma, il transmedia storytelling migliora la marginalità delle media company perché incrementa i ricavi e ne riduce al contempo i costi, allargando la forbice tra i due. Ma al di là di questi aspetti attinenti al business, è anche vero che tutto questo genera valore per gli appassionati di un franchise, che oggi possono godere di una fruizione ricca e articolata come mai in passato.
Transmedia storytelling per il marketing
Anche se il concetto di transmedia storytelling nasce con riferimento all’industria media & entertainment, la sua applicazione può estendersi al marketing, con particolare riferimento al brand.
Con brand intendiamo non solo il semplice logo rappresentativo di un marchio, ma tutto quel set di valori che si intende integrare nei prodotti e nei servizi. E questi valori sono comunicati tanto più efficacemente quanto più entrano in risonanza con il consumatore, e la migliore risonanza non passa per i canali cognitivi del nostro cervello ma per i canali delle emozioni.
Ecco che allora lo storytelling assume un ruolo nella comunicazione di brand, per la sua potenza nel suscitare emozioni nell’audience. Ti basterà osservare alcuni spot televisivi, in grado di far vibrare certe corde, per rendersi conto del ruolo giocato dallo storytelling nel marketing.
Ma oggi, nella pianificazione delle attività di brand management, i marketer hanno la possibilità di accedere ad un ampio numero di canali: social media (Facebook, Instagram, TikTok, YouTube), televisione, radio, carta stampata, ma anche eventi off-line.
Ognuno di essi idoneo, attraverso il suo linguaggio, a contribuire alla narrazione del brand. E quale narrazione è più efficace di quella che raggiunge il target audience attraverso una molteplicità di canali in perfetta sinergia tra loro?
Ed ecco che anche nel marketing il transmedia storytelling diventa un nuovo modello efficace ed innovativo per costruire la strategia di comunicazione del brand.
Per approfondimenti
- Consiglio la lettura di una interessante intervista di Jeff Gomez, uno dei massimi esperti di transmedia storytelling (che ho avuto modo di ascoltare a Milano nel 2012) [intervista Indiewire con Jeff Gomez]
- Un ottimo case-study di applicazione del transmedia storytelling al brand marketing è descritto nel sito della società di consulenza di Jeff Gomez, la Starlight Runner Entertainment: si tratta di Coca-Cola e della sua campagna Open Happiness
- Per chi volesse cominciare ad approfondire a livello professionale il transmedia storytelling segnalo un corso online di Coursera (gratuito se non interessasse ottenere la certificazione): “Transmedia Storytelling: Narrative worlds, emerging technologies, and global audiences“
- Impossibile raccomandare un libro, essendo diverse le pubblicazioni sull’argomento, almeno in lingua inglese. Però fossi in te, valuterei un libro di Robert Pratten, founder e CEO della società Transmedia Storyteller Ltd, “Getting Started in Transmedia Storytelling“, che puoi scaricare e leggere su Kindle a meno di 10 euro
Infine, se sei interessato al tema più ampio dello storytelling, non potrai ignorare il Viaggio dell’Eroe, ed in proposito puoi consultare diversi articoli in questo stesso blog, che illustrano questo fondamentale modello narrativo con esempi tratti da Harry Potter, dalla serie Netflix sudcoreana Squid Game, e persino dalla vita reale di un’icona della nostra era come Steve Jobs.