Già in una precedente occasione avevamo discusso del tema del valore degli NFT, in relazione ai prezzi di mercato.

Un tema complesso, perché esiste in tutti noi la percezione di un gap tra le clamorose quotazioni, a volte milionarie, raggiunte dai non-fungible token, e la nostra abitudine a considerare i file digitali, come i jpeg, un qualcosa privo di valore, essendo replicabili con un semplice copia e incolla.

Ha fatto notizia, recentemente, quanto accaduto per un NFT che “conteneva”, come asset, l’immagine del primo tweet della storia. Su Linkedin mi sono trovato a commentare un paio di post in proposito, ma non ho voluto fare di più, perché lo spazio su Linkedin (come su qualunque social media) mal si presta a esprimere opinioni articolate e un minimo approfondite.

A complicare le cose, quando si ha a che fare con NFT o criptovalute sembra che sia impossibile trovare opinioni equilibrate, serene. E invece si oscilla continuamente tra coloro che demonizzano queste innovazioni, e coloro che ne fanno un’ideologia.

Quando la verità, come sempre, è nel mezzo ed è un po’ più complessa: la blockchain e tutto ciò che ne è derivato è una forma di nuova tecnologia. È un bene? È un male?

Sarebbe come chiedersi se il web, l’automobile o l’ingegneria genetica siano un bene o un male. Sono innovazioni importanti, che cambiano il mondo e la storia, che portano enormi vantaggi, ma in parallelo fanno nascere problemi o dubbi che prima non esistevano.

Alla fine è nostro compito dare un orientamento e un senso etico all’innovazione tecnologica, che non freni il cambiamento ma lo mantenga sui binari di miglioramento delle nostre vite, come individui e come membri di una collettività.

E allora, almeno qui, su questo blog, è arrivato il momento di toccare il tema: il valore degli NFT.

L’NFT con il primo tweet della storia: quale valore e quale prezzo

Prenderemo spunto da questa vicenda, per cui riepilogo quanto accaduto.

Lo scorso anno (2021), esattamente a marzo, aveva fatto il giro del mondo la notizia che un singolo NFT era stato venduto da Jack Dorsey, fondatore di Twitter, al termine di un’asta che aveva visto raggiungere cifre stellari. Cosa conteneva quell’NFT? Il primo tweet della storia, scritto dallo stesso Jack Dorsey nel 2006.

NFT prezzo non fungible token valore Il prezzo? Esattamente 1630.58 Ether, pari in quel momento a 2.9 milioni di dollari (oggi, col cambio attuale ETH/$, parleremmo di oltre $ 4.5 m.).

Il ricavato, aveva spiegato Dorsey prima di metterlo all’asta, sarebbe stato interamente devoluto a favore delle popolazioni africane, colpite dal Covid-19 ma prive di risorse sanitarie sufficienti.

Teniamo bene in mente che si trattava di una cifra enorme, ma non del tutto assurda, giacché appena poche settimane prima era avvenuta la celebre vendita record di “5000 Days” di Beeple, al termine di un’asta di Christie’s destinata a restare nella storia degli NFT.

L’acquirente dell’NFT di Jack Dorsey era l’imprenditore digitale malesiano Sina Estavi, che dopo l’acquisto dell’NFT si presentava orgogliosamente su Linkedin come “owner of the first ever tweet“.

primo tweet NFT prezzo valore

Tutto questo nel 2021. Veniamo ora ad aprile 2022.

Quanto vale oggi quell’NFT?

La notizia di questi giorni è che Sina Estavi ha voluto mettere all’asta l’NFT. Aveva fissato come prezzo minimo dell’asta $ 48 milioni, dichiarando che metà del ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza.

L’offerta più alta ricevuta? 0.09 Ether pari a 277 dollari.

Ovviamente l’orgoglioso proprietario del primo tweet dela storia non l’ha presa affatto bene.

La vendita non è avvenuta, essendo stato fissato un prezzo minimo ben più alto, e Sina Etsavi ha poi dichiarato sdegnosamente in un’intervista

“Lo scorso anno, quando ho acquistato questo NFT, pochissime persone avevano mai sentito la parola NFT. Oggi io dico che questo NFT è la Monna Lisa del mondo digitale. Ce n’è solo uno.”

Concludendo poi, alla domanda dell’intervistatore su chi potrebbe acquistare il suo preziosissimo NFT: “Penso che qualcuno come Elon Musk potrebbe meritarlo”.

Se sei curioso di visionare questo NFT così dibattuto su un marketplace, puoi cliccare su questa pagina di Opensea. Come vedrai, nel frattempo sono sopraggiunte ulteriori offerte dopo la data finale dell’asta, ma la più alta raggiunge i $ 18,000 (cifra molto lontana dalle valutazioni milionarie auspicate da Sina Estavi).

Il prezzo di un NFT: l’inevitabile legge della domanda e dell’offerta

La vicenda che abbiamo raccontato ha suscitato non poco dibattito, e qualcuno ha dichiarato che i prezzi del 2021 erano puro frutto dell’hype che si era scatenato a livello globale intorno agli NFT. Facciamo ordine e focalizziamoci sulla vera domanda: qual è il valore corretto di un NFT?

La risposta è semplice: valgono le eterne regole dell’incontro tra la curva della domanda e la curva dell’offerta, concetto centrale dell’intera scienza dell’economia, formulato da Marshall circa 130 anni fa.

Per chi di voi è ancora fresco di studi, o ha buona memoria, ricordo la situazione classica di un’offerta anelastica (rigida): essendo la quantità sostanzialmente fissa, al crescere della domanda il prezzo schizza, in quanto non è possibile produrre altri beni per soddisfare i compratori.

Nel grafico sotto, la situazione estrema di una offerta (S) del tutto anelastica è rappresentata dalla linea verticale. La quantità resta sempre la stessa anche quando la curva della domanda (linea rossa) si sposta a destra. L’impatto è interamente scaricato sul prezzo.

prezzo domanda offerta NFT

Questo si connette al principio di scarsità su cui si basano le quotazioni apparentemente irrazionali di mercati particolari come l’arte, il collezionismo, i beni di lusso estremo.

Non è una novità, non accade solo per gli NFT. Si pensi ai prezzi di alcuni beni rarissimi o unici: una copia rarissima del fumetto noto come “Action Comics #1. CGC 9.0”, dove appariva per la prima volta nel 1938 Superman, è stato venduto qualche anno fa a $ 3.4 milioni.

Quale valore ha un bene puramente digitale?

Abbiamo così una prima risposta: è vero, c’era un hype nel 2021 che ha spinto verso l’alto la curva della domanda, e questo ha prodotto alcuni episodi in cui sono stati raggiunti prezzi forse oggi non più sostenibili sul mercato.

Ma c’è una seconda domanda che aleggia è: quale valore hanno, specificatamente, i non-fungible token in quanto beni puramente digitali?

Di questo ci siamo già trovati a ragionare in un precedente articolo, ma rivediamo il tutto sotto una luce diversa, con ragionamenti un po’ più articolati.

Sappiamo già che vale la legge della domanda e dell’offerta, concetto universale che si applica qualsiasi cosa che possa avere un mercato. E sappiamo che gli NFT ci portano nella casistica dell’offerta rigida, rappresentata da una curva quasi verticale, o nel caso di NFT unici (come quello del tweet) rappresentata da un segmento del tutto verticale.

E quindi il prezzo lo fa interamente la domanda. E la domanda dipende dalla percezione di valore da parte dei potenziali acquirenti. Quindi occorre chiedersi non quanto valore abbiamo intrinsecamente gli NFT, ma quale valore percepito abbiano.

Che poi, a dirla tutta, vale per qualsiasi bene, anche se la cosa è particolarmente evidente nel caso di beni di lusso, esclusivi o particolarmente costosi.

Il mercato percepisce che abbia più valore un’auto BMW o un’auto con simili funzionalità ma Audi? Qual è il valore percepito per un dipinto di Damien Hirst? Qual è il valore percepito di un minuscolo e disagevole monolocale collocato però nell’area più pregiata di Roma? Qual è il valore percepito del primo fumetto in cui è apparso Superman?

E da cosa dipende il valore percepito? Dal contesto. Ma cosa è il contesto?

La rilevanza del contesto sul valore percepito degli NFT

Il contesto lo possiamo scindere un due: da una parte è quel contesto sul quale non abbiamo il controllo, dall’altro quello su cui abbiamo il controllo.

Nel primo caso, il contesto è in sostanza l’ambiente esterno. Un esempio lo abbiamo appena visto: se c’è hype sul mercato il valore percepito viene ad essere incrementato, e con una offerta rigida il prezzo inevitabilmente vola verso l’alto.

Ma, e questo è molto importante, c’è anche un contesto sul quale abbiamo un controllo. Quando si parla di NFT, è quello che si usa spesso definire come “il progetto” della collezione di NFT.

Come nasce l’asset rappresentato dagli NFT? Come viene costruita e cementata la community degli appassionati e dei possessori degli NFT di quella collezione? Come viene poi sviluppato il dialogo, e tramite quali canali, con la community? C’è una roadmap che inserisce quella collezione in un progetto più a lungo termine? Quanto buzz c’è intorno a quella collezione grazie a specifiche attività di comunicazione e marketing?

In poche parole, le regole che determinano il valore di un bene immateriale – come un non-fungible token – sono sempre le stesse di qualsiasi bene il cui prezzo sia influenzato da una situazione di scarsità.

La scarsità è importante, ma da sola non è sufficiente, non costituisce tutto il contesto.

Lo spieghiamo meglio. Se la Ferrari producesse un’auto unica al mondo, potrebbe probabilmente venderla ad una cifra spaventosa a qualche multimiliardario, perché quell’auto rientrerebbe in un contesto complessivo che crea un elevato valore percepito (il brand Ferrari, la storia dell’azienda, etc).

Se un’auto con simili funzionalità e prestazioni fosse prodotta dalla Kia con un costo di produzione identico, per quanto quell’auto potrebbe essere unica al mondo come la Ferrari prima citata, il suo valore percepito dal mercato non potrebbe mai raggiungere lo stesso della Ferrari.

Ripetiamolo: la scarsità, da sola, non basta.

Come creare valore per gli NFT

Riepiloghiamo quanto detto sinora. Per gli NFT, come per qualunque bene al mondo, si applica la legge della domanda e dell’offerta. La scarsità insita in alcuni NFT – come il famoso “5000 days” di Beeple – all’interno di un più ampio contesto positivo, ha avuto indubbiamente un impatto sulle quotazioni nello scorso anno.

Oggi il contesto è diverso, e questo può ridimensionare il valore di alcuni NFT, come avvenuto per quello in possesso di Sina Etsavi, ma questo non mette in discussione il fatto che gli NFT possano incorporare un valore, riconosciuto dal mercato.

E allora la domanda è: per quella parte del contesto che possiamo controllare, come possiamo creare valore per gli NFT?

La risposta è semplice se allarghiamo lo sguardo, e utilizziamo nel ragionamento il framework del modello di business (o business model). Il contenuto dell’NFT (l’asset, e quindi ad esempio una data immagine), la tecnologia (la blockchain), sono tutte risorse utili per creare una proposta di valore. Creo un progetto per il drop di una collezione, e facendolo punto a creare un valore da proporre a dei clienti.

Gli elementi chiave alla fine sono quelli: quale valore propongo al cliente (la proposta di valore), come produco quella proposta (con quale piattaforma, quale prodotto, quali risorse, etc), a quale cliente la propongo. Se il cliente percepisce valore in quella proposta, allora è possibile monetizzarla.

Se ti interessa approfondire il tema del modello di business, in questo blog troverai numerosi articoli, alcuni più divulgativi altri più approfonditi, ma spero utili per chiarirti le idee.

Il modello di business dei non-fungible tokens

Abbiamo detto che gli NFT non sfuggono alla legge della domanda e dell’offerta. Bene, allo stesso modo gli NFT non sfuggono alla necessità di far parte di un modello di business funzionante, se intendiamo monetizzare il loro valore percepito.

Si pensi al file di Beeple, quello da $69 milioni. È un ottimo piccolo esempio del concetto appena espresso.

C’è una proposta di valore: il possesso di un oggetto digitale davvero unico al mondo, un mosaico di 5,000 immagini ciascuna in sé straordinaria e densa di significato, create da un artista in una maratona creativa senza precedenti.

C’è un segmento di clientela: individui per i quali quel possesso possa avere un valore, un valore quantificabile in milioni e milioni di dollari. Ci sono delle risorse necessarie per produrre quella proposta di valore: il tempo dell’artista, la sua creatività, ma anche la tecnologia in sé della blockchain e quindi dei non-fungible token.

E infine c’è anche un canale che ha un suo peso, perché quell’NFT viene venduto tramite un’asta effettuata da Christie’s, una delle due case d’asta più importanti al mondo, un brand in sé capace di aggiungere valore a qualsiasi cosa passi dalle loro aste. Per intenderci: lo stesso item, venduto su eBay, non avrebbe mai raggiunto le stesse quotazioni, a parità di tutte le altre variabili del contesto.

O si pensi ad una collezione come la Bored Ape Yacht Club, i cui 10,000 NFT hanno un valore attuale complessivo sul mercato di 3.3 miliardi di dollari, e che annovera tra i possessori delle popolari “scimmie” celebrity come Madonna.

Come non vedere l’esistenza di un sofisticato e altamente potenziale business model? Dietro la collezione c’è lo Yuga Labs Studio, una formidabile macchina che ha prodotto poi ulteriori successi, come la collezione di NFT Meebits, e ha acquisito dalla Larva Labs la property della celebre collezione CryptoPunks, e ha firmato un contratto con la potentissima società di talent management Maverick.

E se non bastasse, Yuga Labs ha recentemente annunciato un progetto di sviluppo di un proprio metaverso, nonché il lancio di una propria criptovaluta.

Il problema dell’NFT del primo tweet

E ora torniamo all’NFT del primo tweet.

Se ci pensi bene, intorno a quell’NFT non vi era un vero e proprio business model.

Che valore percepito ha? Non lo sto più acquistando da Jack Dorsey, cosa che probabilmente aveva dato un particolare “sapore” a quella prima asta (fa parte della customer experience se ci pensi bene).

La piattaforma attraverso la quale era stata allora venduto l’NFT, Valuables by Cent, non si è mai sviluppata, è finita più o meno nel dimenticatoio, iper-specializzata in questo segmento di NFT con contenuti ricavati da tweet “celebri”.

Non ha mai contribuito a valorizzare l’item, mentre altre piattaforme (come Opensea o Nifty Gateway) fanno spesso un buon lavoro editoriale e di marketing nel continuare a sostenere alcune collezioni di NFT.

Insomma, la percezione era stata quella di un’iniziativa one-shot, fine a sé stessa, isolata, non sostenibile nel tempo, e l’NFT in questo era penalizzato dal fatto di non essere parte di una collezione.

Se poi pensiamo agli NFT che hanno come asset sottostante contenuti artistici (e quindi parliamo di crypto art), gli artisti i cui artwork digitali raggiungono quotazioni eccezionali (come Pak, Xcopy, Dmitri Cherniak, il già nominato Beeple, Fewocious, gli italianissimi Hackatao, etc.) sono autori di progetti che sono frutto di una ricerca creativa, di esplorazione.

Potrai essere in disaccordo sui valori raggiunti, e probabilmente anche le quotazioni raggiunte da alcune opere d’arte contemporanea ti lasciano perplesso, ma dietro quegli NFT c’è una storia, un lavoro, finalizzato a creare quell’NFT, quella collezione.

Non è così per il primo tweet. Verrebbe da dire che l’unico elemento di valore era che la parte venditrice era l’autore stesso del primo tweet, il fondatore di Twitter.

Punto. Null’altro. Jack Dorsey non ha dedicato tempo, creatività, sperimentazione, per creare quell’NFT. Quell’NFT era un puro derivato, un by-product marginalissimo del lavoro di Jack Dorsey, che non ha alcun contenuto artistico.

Non-fungible tokens: non solo crypto art

Finora abbiamo un po’ ragionato, intorno al primo tweet, facendo un continuo confronto con gli NFT della crypto art.

E abbiamo già stabilito che non ha nulla a che fare con la crypto art. Forse è stato proposto come tale ma – piaccia o non piaccia – non lo è affatto.

Ricordiamo allora che non necessariamente gli NFT rientrano nel settore arte. Ci sono NFT che contengono item da utilizzarsi in giochi (come Zed Run), in realtà virtuali (come Decentraland), o anche NFT il cui valore è connesso al brand sottostante, come nel caso delle collezioni lanciate da Coca-Cola, Adidas, Gucci, etc.

Anche in questi casi è evidente che ci sia un contesto che dà valore all’NFT, e soprattutto un modello di business che consente la monetizzazione di quel valore.

Gli NFT sopra citati sono integrati in modelli complessi, nei quali rientrano brand, canali di comunicazioni con clienti e consumatori, piattaforme e infrastrutture (si pensi al metaverso), meccaniche di reward per i possessori degli NFT.

Ma l’NFT con il primo tweet non rientra nemmeno in questi segmenti (game, brand, realtà virtuali, utility o altro). Resta un item isolato, a sé stante. Non è nemmeno un NFT dell’azienda Twitter, il che avrebbe dato ben più valore e continuità, avrebbe fatto pensare ad una possibile roadmap, collezioni in lancio future…

In breve, il punto di arrivo è sempre quello: gli NFT, come qualsiasi bene non indispensabile (beni di lusso, collezionismo, arte, ma anche entertainment, media) hanno tanto più valore quanto più sono connessi a contesti, modelli di business, progetti a lungo termine, brand, community attive e consolidate.

Il mercato nasce e si alimenta quando intorno al bene, in questo caso all’NFT, c’è qualcosa di vivo, in evoluzione, idealmente un ecosistema in divenire.

Yuga Labs, con i suoi Bored Ape Yacht Club, lo ha ampiamente dimostrato.

Gli NFT tra speculazione e collezionismo

Che aspetti speculativi abbiano distorto questo nuovo mercato dei non-fungible token è purtroppo normale.

Il problema è che le notizie roboanti sulle quotazioni raggiunte distraggono dal guardare più a fondo sulle reali opportunità offerte dalla blockchain all’arte, alle aziende, ai consumatori. Che invece è quanto dovremmo fare.

Non solo. Queste notizie fanno passare in secondo piano quella che è una passione del tutto umana e normale, che sostiene diversi mercati: quella del collezionismo.

Il puro piacere di possedere e raccogliere cose. Il collezionismo in sé è una passione sana, se vissuto bilanciando razionalità a piacere.

Da sempre collezionare arte, francobolli, monete, fumetti, e tanto altro, è un qualcosa che dà vita a dei mercati, è vero, ma non per questo è esclusivamente alimentata da un movente economico. Chi vi scrive ve lo può testimoniare.

Gli NFT hanno dato la possibilità di fare nascere una forma di collezionismo a livello globale. Non solo: grazie alla possibilità di programmare sulla blockchain delle royalty a favore degli artisti, da applicarsi anche alle transazioni sul mercato secondario, hanno dato vita a un modello di monetizzazione della creatività per gli artisti fino a ieri impensabile.

Se acquisto un NFT creato da un crypto artista che apprezzo, non è detto che lo faccia esclusivamente in vista di una futura transazione, ma perché apprezzo l’opera dell’artista, e sono felice di dare un mio contributo al sostentamento economico del suo lavoro creativo.

Se compro un accessorio su NFT da usarsi in una realtà virtuale 3D come Decentraland o Sandbox, lo faccio per il semplice piacere di vedere il mio avatar indossarlo, utilizzarlo, come parte del gioco.

Se acquisto un NFT di una collezione PFP, magari lo faccio perché mi fa piacere usare quell’immagine appunto come personal profile. E così via.

In conclusione

In un settore così in evoluzione come quello dei non-fungible token è un po’ rischioso parlare di conclusioni, provare a tirare le somme. Ma ci tengo ad un’ultima osservazione.

Episodi come quello raccontato dell’NFT col primo tweet che perde oltre il 99% del suo valore, non sono in sé negativi, per il settore. Un sano bagno di realismo non fa male, anzi fa parte del processo di crescita.

Dal crollo economico in borsa causato dallo sgonfiamento della dot com bubble alla fine degli anni 90 non è derivata la morte prematura delle aziende digitali. Non per questo è scomparsa all’improvviso internet dalle nostre vite, anzi. È da questo bagno di realismo che sono nate o sono cresciute società come Facebook, Google, Amazon, Apple, e tantissime altre, che oggi rappresentano l’ossatura centrale delle economie moderne.

Non ci sarebbe da meravigliarsi se si scoprisse che alcuni NFT dal valore milionario farebbero fatica oggi a raggiungere certe quotazioni di alcuni mesi addietro. Sarebbe perfettamente normale, e contribuirebbe ad una stabilizzazione del mercato, a ridurne la volatilità, a creare maggiore affidabilità per chi voglia approcciarsi a questo mercato.

E aiuterebbe nel far prevalere nel mercato quell’aspetto sano, del tutto umano, del collezionismo, e a stimolare tra i creatori di collezioni di NFT lo sviluppo ci collezioni di NFT sempre più ricche di valore e di utilità, e meno fini a sé stessi.

 

 

 

 

 

 

 


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