Caduta del Bitcoin, piattaforme di exchange di criptovalute in crisi, attacco speculativo su Terra-Luna…
Le notizie degli ultimi mesi danno anche a voi la sensazione che questa storia della crypto economy sia stata un po’ una meteora? E che il tanto favoleggiato Web 3 possa essere solo un’illusione?
Che insomma, dietro tanti concetti intorno ai quali ruota da oltre un anno un hype che a volte lascia perplessi (il metaverso! gli NFT!) di sostanza ce ne sia ben poca?
È già tutto finito? Nient’affatto.
Siamo davanti alla più classica delle “crisi da crescita”, quelle crisi dalle quali si riparte avendo fatto pulizia di quelle distorsioni, di quegli eccessi, che impediscono uno sviluppo innovativo vero, che sia portatore di valore per le imprese e di reale beneficio per gli utilizzatori.
È del tutto normale che al sopraggiungere di una innovazione importante si muovano immediatamente player orientati al brevissimo termine, che si verifichino fenomeni speculativi, che ci siano sperimentazioni improduttive.
Come dicevano i romani, “Nihil novi sub sole”.
Ma questi fenomeni vanno visti separatamente dal potenziale effettivo dell’innovazione sottostante.
Il Web 1 e la dot-com bubble
Abbiamo già assistito a tutto questo nell’era di quello che oggi definiamo Web 1.
Parliamo della prima forma del Web, quella dei siti dei quali eravamo solo lettori, ovvero fruitori passivi dei contenuti. Un periodo caratterizzato dall’innamoramento indiscriminato della finanza per le startup, non importa quali fossero, bastava che in qualche maniera facesse capolino, nelle loro promesse agli investitori, la parola magica di quegli anni: Internet.
Un periodo che inevitabilmente si era risolto nel disastroso sgonfiamento della dot com bubble.
Rispetto al picco del marzo 2000, nell’ottobre 2002 il Nasdaq era caduto del 78% bruciando un valore di capitalizzazione pari a 5 trilioni di dollari.
La parola magica, Internet, non basta più
Ricordiamo solo un episodio che resta il simbolo di quel periodo, prima irrazionalmente euforico, poi così drammatico.
Siamo nel 2000. AOL (American Online) è una società rapidamente cresciuta a dismisura, fornisce l’accesso a internet a 20 milioni di abbonati negli Usa.
Si fonde con un vero titano globale del settore media: la Warner.
In realtà non è una fusione, anche se viene raccontata così. Mette sul tavolo ben $ 182 miliardi e acquisisce la Warner dando vita ad una società del valore borsistico di $ 350 miliardi. Una mega-corporation che sembrava destinata a dominare incontrastata il settore globale dei media.
Ma presto il merger si rivela il peggiore della storia.

L’economia dopata delle dot-com inizia a sgonfiarsi. Nel 2002 la AOL-Warner riporta una perdita di quasi $ 99 miliardi. Il miliardario Ted Turner, uno dei maggiori azionisti della corporation, si ritrova a perdere l’80% della sua ricchezza.
Infine, nel 2009 avviene lo spin-off, e la società si libera di AOL, ormai una zavorra, incassando poco più di $ 4 miliardi da una cessione a Verizon.
Ma questo è solo il più clamoroso episodio di quell’era. Di storie simili, di valore in borsa smaterializzato nell’arco di pochi mesi, è disseminata quella prima eroica fase dell’era di Internet.
È la fine di Internet. Anzi no.
Robert Metcalfe, pionieristico informatico newyorkese, aveva contribuito negli anni 70 alla nascita di Internet, e tuttavia era sempre rimasto scettico sulle potenzialità della Rete, e si era sbilanciato nella seguente profezia:
“Prevedo che Internet decollerà in maniera spettacolare come una supernova per poi collassare catastroficamente nel 1996″
Mai profezia era stata più errata.
Ma non era l’unico esperto ad aver espresso perplessità sul potenziale di Internet (segnalo questo istruttivo articolo in proposito).
Infatti, nonostante l’implosione della dot-com bubble di inizio secolo, quella che allora si chiamava Internet-economy non si è affatto avviata verso un prematuro declino. Anzi.
Dalle macerie del Web 1 si riparte verso il Web 2
La distruzione del valore borsistico era stata spaventosa, è vero. L’equivalente, nella finanza, della meteora che impattando sul nostro pianeta aveva fatto estinguere di colpo i dinosauri.
Ma come la vita biologica ha continuato ad evolversi dopo quella catastrofe, così la Internet-economy è rinata, come se quel crollo fosse stato solo una benefica catarsi, e si è avviata verso il Web 2, quello che ha davvero cambiato le nostre vite per sempre.
Il Web 2 è l’Internet che conosciamo oggi. L’Internet nel quale non siamo solo consumatori di contenuti, ma anche produttori di contenuti. E questo grazie alle grandi piattaforme dei social (Facebook, Instagram, TikTok, etc.). Ed è l’Internet che “usiamo” più frequentemente da un device mobile piuttosto che da un PC.
La conseguenza? Con il Web 2 l’economia nella quale operiamo e consumiamo ha cambiato radicalmente il suo DNA.
Lo dimostra anche la tradizionale classifica annuale delle maggiori corporation stilata da Fortune, dove ormai da tempo molte posizioni al vertice sono occupate dalle “big tech”, società che non sarebbero mai esistite senza la rivoluzione digitale.
La sofferta evoluzione del Web 2
Ma anche per il Web 2 lo sviluppo è stato sofferto, più di quanto si possa oggi pensare.
Il primo social della storia, SixDegrees, nasce nel 1997 e nel 2000 è già morto.
Poi appare nel 2003 MySpace. Rapida crescita fino a 25 milioni di iscritti, ma già nel 2015 ha già inizio un altrettanto rapido declino, per poi finire nel dimenticatoio.
Poi, certo, a partire dal 2004 arrivano le grandi piattaforme di oggi, ma lo sviluppo del Web 2.0 ha continuato a essere costellato da tanti fallimenti eccellenti.
Uno per tutti: Google+, il social media di Google lanciato nel 2011 e chiuso dopo pochi anni.
Per non parlare di Microsoft e della sua incapacità (o mancanza di visione?) nel riuscire a far leva sullo sviluppo di Internet e dei social media.
Guardando ai numeri attuali dei social (2.9 miliardi di utenti mensili unici per Facebook, 2.2 miliardi per Youtube, 2 miliardi per Instagram) dimentichiamo che inevitabilmente un cambiamento epocale ha, dietro i suoi vincitori, centinaia di progetti e sperimentazioni fallite.
Blockchain, criptovalute, NFT, metaverso: si delinea il Web 3
Siamo così al 2020. Le quotazioni delle criptovalute cominciano a impennarsi seriamente. Alcune imprese iniziano a interessarsi alla blockchain e alle sue possibili applicazioni. Poi nel 2021 l’esplosione delle quotazioni degli NFT, fa notizia un jpeg venduto dalla casa d’aste Christie’s per 69 milioni di dollari, ed ecco che la maggior parte di noi sente all’improvviso parlare un po’ ovunque di questi misteriosi non-fungible token (al punto che NFT viene dichiarata dal Dizionario Collins “parola dell’anno”).
Ad ottobre poi Zuckerberg si fa ambassador di un ulteriore elemento fondante del Web 3.0, il metaverso, lo spiega al mondo intero attraverso un celebre video, e per dimostrare che ci crede annuncia che Facebook a partire dall’indomani cambierà nome diventando Meta.

E rapidamente si diffonde questo nuovo concetto, quello del Web 3, un “nuovo Internet” basato sulla decentralizzazione garantita dalla blockchain, nel quale per gli utenti diventa possibile diventare “proprietari” di item digitali su Internet, cosa che prima della blockchain sarebbe stato impensabile.
E di colpo ci immaginiamo vivere in maniera del tutto immersiva una vita parallela, tramite i nostri avatar, in un metaverso nel quale diventa possibile socializzare, divertirsi, lavorare, ma anche acquistare e vendere – tramite NFT e utilizzando per le transazioni criptovalute – oggetti e servizi facenti parte della realtà fisica come pure della realtà virtuale, compreso il terreno digitale sul quale i nostri avatar si muovono.
Segnali di una crisi?
Tutto ha inizio da un attacco speculativo contro TerraUSD, una stablecoin, ovvero una criptovaluta la cui quotazione è ancorata ad una valuta “fiat”, in questo caso al dollaro.
Grazie ad un complesso algoritmo, che scarica le oscillazioni su un’altra criptovaluta gemellata, Luna, la criptovaluta TerraUSD ha un valore che dovrebbe corrispondere stabilmente ad un dollaro.
Ma qualcuno (non sapremo mai chi…) elabora un piano complesso, quasi diabolico, per guadagnare “shortando” sul Bitcoin, a spese del povero sistema Terra-Luna che ne esce con le ossa rotte, per sempre. L’attacco frutta agli ignoti speculatori qualcosa che potrebbe equivalere ad un miliardo di dollari, ma il vero grande danno è che si ingenera uno scetticismo verso l’idea delle criptovalute come sistema stabile e affidabile.
Segue poi una gravissima crisi di liquidità per il network Celsius, una piattaforma di finanza decentralizzata che consente agli investitori di guadagnare interessi depositando in essa criptovalute (1.7 milioni di clienti e $11 miliardi di asset). Celsius blocca di conseguenza, per i suoi investitori, la possibilità di ritirare i capitali investiti, amplificando così il panico.
Ma non è finita. Poche ore dopo l’annuncio del blocco di Celsius, Binance – il più grande exchange di criptovalute al mondo – blocca la possibilità per i suoi clienti che avevano acquistato Bitcoin di ritirare liquidità. Non è indenne dalla crisi il grande concorrente di Binance, ovvero Coinbase, che annuncia il licenziamento del 18% dei suoi dipendenti.
Persino Crypto.com, l’ambiziosa piattaforma di trading lanciata con costosissimo spot a febbraio al SuperBowl (testimonial: LeBron James, scusate se è poco), annuncia un prematuro taglio al personale.
E nel frattempo tutte le criptovalute continuano a perdere valore. La più importante, il Bitcoin, vede la sua quotazione scendere di continuo, sino (nel momento in cui scrivo) a poco meno di $ 17,800. Si pensi che appena lo scorso ottobre aveva toccato il suo massino storico, superando i $ 68,000.
Mentre l’Ether, la seconda maggiore criptovaluta, che è connessa alla blockchain Ethereum dove circa l’80% degli NFT viene creato e scambiato, è scesa (in questo momento) a circa $ 900 mentre lo scorso novembre aveva sfiorato i $ 4,800.
Lapidario, in questa prima grande crisi finanziaria del mondo cripto, il commento di Bill Gates, il quale – intervistato durante la recentissima conferenza TechCrunch, spiega che sulle criptovalute lui non ha posizioni né long né short, lasciando intendere che semplicemente se ne tiene alla larga.

Quando l’intervista tocca anche il tema dell’investimento in NFT Bill Gates è persino sarcastico: “Ovviamente quelle costose immagini digitali di scimmie miglioreranno immensamente il mondo.”
E continua poi con tono più serio: “”Sono abituato a investire in classi di asset come una fabbrica dove c’è un output o un’azienda dove si fanno prodotti”.
Cosa sta accadendo
Le cause di questa inversione di tendenza sono numerose. Ovviamente il mondo cripto è tutt’altro che isolato dall’economia circostante, quella reale.
La situazione geopolitica (guerra in Ucraina, tensioni crescenti tra Usa e Cina legate anche a Taiwan, il maggior produttore di microchip al mondo) alimenta timori di recessione ben più di quanto aveva fatto la pandemia da Covid-19.
Le borse mondiali hanno risentito pesantemente dell’aumento dell’inflazione (a sua volta determinata dall’aumento del costo delle materie prime derivato dal conflitto).
In un quadro di tale incertezza, l’appetito degli investitori per gli asset più rischiosi e innovativi (come possono essere le criptovalute) si riduce, come è naturale, e ci si orienta verso asset più tradizionali.
Quale futuro per il Web 3?
Abbiamo così visto un quadro sintetico di quando sta avvenendo, ma lo abbiamo fatto “alla luce della memoria”, ovvero tenendo ben in mente di quanto lo sviluppo nel tempo del Web sia stato tutt’altro che lineare e continuo, ma fatto di crisi, imprevisti cambiamenti di rotta, sperimentazioni fallimentari.
Da questo momento in poi, diventa difficile prevedere il futuro con una qualche approssimazione, ma su alcuni punti possiamo sbilanciarci con ragionevole serenità. Vediamoli.
(1) La blockchain resta indubbiamente un’innovazione tecnologica di portata straordinaria, perché rende davvero possibile una crypto economy, o più esattamente una tokenomics, ovvero una economia basata su transizioni certificate di “gettoni digitali” che a loro volta possono rappresentare di tutto (ed essere quindi correlate al mondo virtuale come pure al mondo reale): valori monetari, asset immobiliari o finanziari, opere d’arte, prodotti fisici, etc.
(2) Il Web 3 sarà probabilmente diverso da come oggi lo immaginiamo, ma indubbiamente ci sarà. Quando e come il Web 3 prenderà realmente forma è oggi impossibile dirlo con certezza. Io personalmente non lo vedo affatto in contrapposizione col Web 2 ma come sua integrazione/evoluzione.
Il fatto stesso che ad oggi le aziende che stanno lavorando nella maniera più promettente sul metaverso siano grandi corporation come Meta/Facebook e Microsoft danno la misura di quanto un “nuovo” Web del tutto decentralizzato possa essere utopistico. E non abbiamo ancora avuto notizia di quanto bolle in pentola da parte di altri grandi player da sempre per loro natura “centralizzatori” quali Apple o Alphabet/Google.
Ma non ci sarebbe nulla di pericoloso in una “ibridazione” tra tecnologie basate sulla decentralizzazione e grandi piattaforme che beneficiano degli investimenti che soltanto realtà come quelle sopra citate potrebbero assicurare. Anzi, questa contaminazione garantirebbe una accelerazione nello sviluppo, nella learning curve, e nella mass-adoption
(3) La caduta delle quotazioni delle criptovalute di queste ultime settimane è un episodio strutturale dello sviluppo del mercato. Ma è anche un segnale importante.
Le valute “fiat” (come l’euro, il dollaro, etc.) si basano sulla fiducia verso autorità centrali. Le criptovalute intendono sostituire questa fiducia con la fiducia verso la blockchain e i meccanismi di autoregolazione dei mercati controllati da algoritmi. Ma questo non è sufficiente affinché le criptovalute possano beneficiare di una mass-adoption, e diventare un normale asset nella diversificazione finanziaria del portafoglio di un comune risparmiatore.
Occorrono forme di regolamentazione, controllo, e anche chiarezza legislativa e fiscale. Concetti che gli ideologi “puristi” del mondo cripto concettualmente potrebbero rifiutare, ma che farebbero soltanto del bene alla diffusione di questi nuovi strumenti.
(4) L’ironia di Bill Gates verso gli NFT ha delle buone ragioni, ma il valore e il potenziale dei non-fungible token è un’altra storia. Le applicazioni degli NFT vanno ben oltre il caso a cui riferiva Bill Gates, la collezione “Bored Ape Yacht Club”. Il vero valore degli NFT risiede nella loro programmabilità, e nella loro capacità di fungere da “bridge” tra dimensione digitale e dimensione reale.
Probabilmente tra 3 anni il mercato non avrà bisogno dell’ennesima collezione di 10.000 jpg ipervalutata, ma altrettanto probabilmente per allora i brand avranno sperimentato abbastanza da individuare applicazioni di reale utilità per questi certificati digitali, in particolare in connessione a prodotti e servizi.
E – solo per completezza – va anche ricordato che Bill Gates, che si era dimostrato un geniale visionario costruendo Microsoft su uno scenario futuristico di massiccia diffusione dei PC nelle case e negli uffici, non ha successivamente dimostrato la stessa lungimiranza sulle potenzialità di Internet, dei social media, dei motori di ricerca, dei device mobili.
(5) Ad oggi il settore cripto si è evoluto sulla spinta di straordinari pionieri e di professionisti appassionati e visionari. Ma è arrivato il momento di puntare ad una espansione reale, di massa, che determini un vero cambiamento positivo in molteplici settori economici e nelle vite delle persone. E questo richiede il superamento di un certo atteggiamento, già citato prima, da parte degli “addetti ai lavori”, quasi di contrapposizione: Web 3 contro Web 2, criptovalute contro valute “fiat”, Defi (decentralized finance) contro finanza tradizionale, DAO (decentralized autonomous organizations) contro organizzazioni tradizionali, e via dicendo.
Ed è anche, in maniera sottile, una questione quasi generazionale, come se il Web 3 fosse “proprietà esclusiva” della Z-Generation. La straordinaria diffusione del Web 2 è dovuta anche al fatto che la diversità di piattaforme (come Facebook, Instagram, TikTok, Twitter, Discord. etc.) è servita a dare spazio a segmenti diversi di utenti, diversi in termini anche anagrafici.
Ecco: l’inclusività è la chiave che farà fare un salto qualitativo e quantitativo al Web 3.
In conclusione: questa crisi non è la fine, semmai è il vero inizio
Le crisi da crescita sono del tutto fisiologiche nelle fasi iniziali di diffusione di una innovazione tecnologica. La stessa storia del Web lo ha dimostrato sin dalle origini. E sono crisi utili, che stabilizzano i settori emergenti, che contribuiscono alla learning curve sia delle imprese che degli utilizzatori.
Nel caso delle applicazioni derivanti dalla blockchain, quanto è accaduto in queste settimane ha avuto ancora più risalto in quanto buona parte di queste applicazioni sono consistite in strumenti che utilizzati come forme di investimento, purtroppo perdendo di vista in diversi casi la sana regola della diversificazione del proprio portafoglio finanziario.
E quando una crisi si traduce in un impatto diretto sulla ricchezza di chi ha creduto in certi strumenti senza il supporto di una opportuna educazione finanziaria, la cosa può fare più male, portando all’improvviso a demonizzare ciò che fino a pochi mesi prima veniva esaltato.
Separiamo allora i fenomeni speculativi dalla realtà. Il metaverso è oggi, per buona parte, puro “hype”? Probabilmente si, ma il gigante globale della consulenza McKinsey ci segnala che potrebbe diventare per il 2030 un business da 5 trilioni di dollari.
La blockchain è una tecnologia la cui utilità oggi non è ancora chiara? Vero, ma come spiega l’Harvard Business Review nel suo articolo “The Truth about Blockchain”:
Non importa quale sia il contesto, ma c’è una forte probabilità che la blockchain avrà in ogni caso un impatto sul vostro business. La grande domanda è solo: quando?
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